Last updated on Settembre 11th, 2021 at 03:12 am
Nell’aprile 2001 i Paesi Bassi avrebbero dovuto «abbattere una barriera psicologica». Così disse Deborah Annetts, della Voluntary Euthanasia Society, non appena il parlamento neerlandese approvò la prima legge europea che legalizzava la cosiddetta «buona morte». Da quel momento sono passati vent’anni, e più che una «barriera psicologica» nei Paesi Bassi si è spalancata una voragine.
Il sostenitore pentito
Basti pensare che nel primo anno successivo all’approvazione della legge i casi di eutanasia furono 1.882 e che nel 2019 sono diventati 6.361. Un crescendo di morte che ha scosso la coscienza di alcuni tra i suoi sostenitori più strenui. Come il prof. Theo Boer, membro per nove anni della Commissione di controllo neerlandese per vigilare sull’esecuzione della legge nei termini previsti. In un’intervista del 2015 al periodico Tempi, Boer riconosceva che gli avversari della «buona morte» avevano ragione quando, prima dell’approvazione della legge, avvisavano che i Paesi Bassi si sarebbero trovati «su un piano inclinato pericoloso».
La «sofferenza insopportabile»
All’ombra dei mulini a vento il dibattito su questo tema iniziò alla fine degli anni 1960, quando l’influente psichiatra Hendrik van den Berg sosteneva che i medici infliggessero grandi pene ai propri pazienti accanendosi nel curarli. Dopo oltre tre decenni di dibattito si arrivò dunque alla legge, con il plauso anche di Boer. Ma, nella stessa intervista a Tempi, il docente neerlandese rilevava che l’eutanasia «è diventata sempre più normale e diffusa» e che «molti altri tipi di sofferenza, soprattutto esistenziale, sociale e psichiatrica, sono diventati motivi sufficienti per richiedere l’eutanasia». Boer sosteneva che alcuni criteri per l’attuazione dell’eutanasia «furono presupposti in maniera implicita». Per esempio spiegava che «la “sofferenza insopportabile” fu un criterio, ma non fu specificato cosa si intendesse».
I dati
L’indeterminatezza legislativa ha sortito effetti. Qualche anno fa il quotidiano Avvenire, nell’inserto Èvita, ha passato al setaccio i dati divulgati da quella Commissione di controllo olandese di cui faceva parte in passato Boer. Ebbene, ciò che se ne ricavava è che nel 2010 l’eutanasia nei Paesi Bassi «è stata applicata per 25 persone affette da demenza e 2 con gravi disturbi psichici, nel 2011 i casi sono saliti a 49 e 13, raddoppiando nel 2015, quando le due categorie hanno raggiunto quota 109 per i casi di demenza e 56 per le malattie psichiche. Soltanto 10 di questi casi sono stati denunciati all’autorità giudiziaria». Quanti vent’anni fa denunciavano l’avvio di un «piano inclinato» appaiono oggi delle Cassandre. Il 7 dicembre scorso sul prestigioso periodico medico Jama è stato pubblicato un articolo nel quale si denuncia la facilità con cui nei Paesi Bassi viene applicata l’eutanasia.
Eutanasia per «vita compiuta»
Ma non è finita. O meglio, qualcuno nei Paesi Bassi desidera che il piano continui a inclinarsi. Un anno fa, di questi tempi, nel parlamento de L’Aia si discuteva una legge che prevede l’eutanasia per «vita compiuta». Di cosa si tratta? Lo spiegava in un’intervista a InsideOver il cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht: «Questo disegno implica che la gente con una età superiore a quella di 75 anni, di per sé non malata, ma sana, convinta che la sua vita non abbia più un senso e sia perciò “compiuta”, possa chiedere il suicidio assistito». Il cardinale osservava che aver fissato il limite a 75 anni, «suggerisce che la vita perda il suo valore essenziale da questa età». Si tratta di un limite arbitrario, che come tale potrebbe un domani persino essere abbassato. Ecco allora che il concetto di «piano inclinato» rischia di riproporsi ad libitum.
Il Belgio
E nel confinante Belgio? Anche lì l’eutanasia è stata approvata molti anni fa, nel 2002. E anche lì si è assistito a un piano inclinato. Secondo un gruppo di ricerca guidato dall’esperto di etica e salute pubblica, Kaspar Raus, dell’Università di Gand, il sistema di controllo in Belgio che avrebbe dovuto fermare gli abusi è fallito. Come riferisce il sito Care for that believe, uno dei motivi di questo fallimento sarebbe il fatto che la legge sull’eutanasia negli anni è stata modificata.
Se originariamente era approvata solo per malattie gravi, incurabili e insopportabili, negli anni si è deciso che possono accedervi anche pazienti a cui è stata diagnosticata la «polipatologia». Vale a dire i molti disturbi associati alla vecchiaia, quali la perdita di vista e udito, i dolori cronici e la debolezza. Nel 2019 nel 17,3% di casi di eutanasia in Belgio era elencata la «polipatologia» e nel 47% dei casi i pazienti non avevano una malattia terminale. Belgio che, occorre ricordare, è passato da 24 casi di eutanasia nel 2002 a 2.656 nel 2019. Un «piano inclinato» analogo a quello neerlandese. Che forse qualche sostenitore italiano della «buona morte» dovrebbe prendere in considerazione oggi, per evitare che tra vent’anni se ne accorga troppo in ritardo.