Il Family Act, cioè la Legge 32 del 7 aprile 2022, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 dello stesso mese e da oggi, 12 maggio, inizia la conta del tempo entro cui dovranno essere definiti dal governo i decreti attuativi.
La dicitura corretta e completa è quella di Deleghe al Governo per la valorizzazione e il sostegno della famiglia ed esso investe, si auspica positivamente, numerosi ambiti della vita delle famiglie italiane. Dall’educazione dei figli, ai congedi di maternità e di paternità, dalla questione del lavoro femminile che non può prescindere dalla condivisione della cura e dall’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, alle spese da sostenere per la formazione dei giovani sino al raggiungimento per loro dell’autonomia finanziaria, infine al sostegno delle responsabilità familiari.
Un aspetto, in particolare, coglie l’interesse preciso come un bisturi di suor Anna Monia Alfieri, referente scuola dell’Unione dei superiori maggiori italiani, autrice, gestore di scuole paritarie, tra le voci italiane più accreditate sui problemi dell’organizzazione dei sistemi formativi. Tale aspetto è, ovviamente, il settore della scuola.
«Finalmente alcuni passi, da parte del governo, sono stati compiuti per porre attenzione alla scuola e alle grandi difficoltà che sta attraversando ormai da molto tempo», afferma suor Anna Monia. «Ciò che mi aspetto ora da questa legge delega è che la scuola, la paritaria assieme alla statale, sia messa in grado colmare le tante lacune esistenti, per far ripartire il Paese».
L’articolo 1 del Family Act , al comma 1, afferma «[…] la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie», mentre al comma 2, c) «[…] pone tra i criteri direttivi generali il valore sociale delle attività educative e di apprendimento, anche non formale, dei figli, attraverso il riconoscimento di agevolazioni fiscali, esenzioni, deduzioni dalla base imponibile o detrazioni dall’imposta sul reddito in relazione alle spese sostenute dalle famiglie ovvero attraverso la messa a disposizione di un credito o di una somma di denaro vincolati allo scopo».
«Rispetto a queste parole», continua suor Anna Monia, «vi è un’unica lettura di buon senso, e cioè che il governo garantirà il riconoscimento di agevolazioni fiscali alle famiglie, da dedicare alle spese per l’istruzione dei figli, nel rispetto pieno della libertà educativa».
«Ciò non significherebbe altro che agire in base alla famosa legge Berlinguer, la Legge 30 del febbraio 2000, nonché in base alla Costituzione italiana stessa, agli articoli 3, 30 e 33», puntualizza, «e non vedrei in alcun modo perché l’articolo 1 del Family Act non dovrebbe applicarsi proprio alla scuola paritaria, con la destinazione alle famiglie di somme vincolate, per esempio nell’ordine del costo standard di sostenibilità per ciascun allievo pari a 5500 euro. Non si tratta di assegnare alla scuola, genericamente, fondi a pioggia, bensì di agire concretamente, e sinceramente non mi aspetto altro».
Alla domanda sul ruolo che ha avuto il mondo delle associazioni familiari e di advocacy al fine di raggiungere il risultato legislativo del Family Act, suor Anna Monia Alfieri risponde che certamente l’associazionismo è stato in generale in prima linea, «temo però che quanto stabilito nella legge delega sia dovuto principalmente al CoVid. La pandemia è stata il cigno nero che ha stressato il sistema scolastico italiano, un sistema che giudico iniquo, che sovrastima e sovraccarica la scuola statale, sottoutilizzando la paritaria, e che crea forti diseguaglianze fra il Nord e il Sud del Paese. Se al Nord la situazione regge, al Sud invece non funziona, come dimostrano i dati OCSE-PISA, il tasso di dispersione scolastica, la percentuale di giovani cosiddetti “Neet”, cioè che non studiano e non lavorano. È necessario evidentemente che le Regioni compartecipino a tale sforzo. Alcune già lo fanno, la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, la Liguria, altre invece dovranno iniziare a farlo».
«La libertà di scelta garantita dalle agevolazioni fiscali che il governo saprà mettere in atto», conclude, «si tradurrà in libertà educativa, in pluralismo educativo, ponendo al centro lo studente, i ragazzi, l’unica cosa che davvero deve stare a cuore».
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