«Le analisi del punteggio di rischio poligenico sugli embrioni (PGT-P) vengono commercializzate da alcune società di test private, e vendute ai genitori che utilizzano la fecondazione in vitro, come utili nella selezione degli embrioni che presentano il minor rischio di malattia in età avanzata. Sembra che almeno un bambino sia nato dopo tale procedura. Ma l’utilità di un PRS a questo riguardo è gravemente limitata e, a oggi, non è stata eseguita alcuna ricerca clinica per valutarne l’efficacia diagnostica negli embrioni. I pazienti debbono essere adeguatamente informati sui limiti di tale uso dei punteggi di rischio poligenico (PRS) e un dibattito nella società, incentrato su ciò che sia considerato accettabile per quanto riguarda la selezione dei tratti individuali, dovrebbe aver luogo prima di qualsiasi ulteriore implementazione della tecnica in questa popolazione».
È questa l’introduzione di un articolo pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Human Genetics, mensile peer-review prestigioso e accreditato, pubblicato dal Nature Publishing Group per conto della European Society of Human Genetics (ESHG). Non esattamente un giornalino parrocchiale né l’house organ di un gruppo di pro-life incalliti.
Sarebbe stato sufficiente leggerne il titolo: The use of polygenic risk scores in pre-implantation genetic testing: an unproven, unethical practice, «L’uso dei punteggi di rischio poligenico nei test genetici pre-impianto: una pratica non dimostrata e non etica».
Gli autori, cioè, oppongono un «no» deciso a ciò che si configura come una vera e propria commercializzazione dei dati genetici che documentano il PRS, ossia il rischio di sviluppare malattie negli embrioni ottenuti dalla fecondazione artificiale, in attesa dell’impianto in utero. «Non c’è nessuna evidenza scientifica», affermano, «che il punteggio di rischio poligenico possa prevedere la probabilità che i bambini non ancora nati siano soggetti a una malattia specifica in futuro».
Come si legge nell’articolo dell’ANSA che la settimana scorsa ha presentato in Italia la ricerca, essa rileva come attualmente l’unica possibilità scientificamente fondata riguardi le previsioni su malattie che abbiano un’unica causa genetica. «I PRS sono una cosa completamente diversa», osserva Francesca Forzano, co-autrice dello studio e genetista nella Fondazione Guy’s and St Thomas, del servizio sanitario britannico (NHS). «Molte malattie sono causate da una combinazione di fattori genetici e ambientali e i PRS sono in grado di cogliere solo una parte della componente genetica, che già da sola è molto complessa da analizzare».
Inoltre, «[…] i PRS possono identificare il rischio individuale di una determinata malattia nella popolazione generale, dove la variabilità genetica è molto ampia, ma non c’è alcuna evidenza della loro utilità nel determinare la scelta fra due embrioni, vista la limitata variabilità genetica all’interno di una famiglia». E la parola «scelta», così come nell’introduzione allo studio si legge «selezione», riferita a due embrioni prodotti in vitro, in attesa di trovarsi finalmente nel grembo, fa accapponare la pelle.
Gli esperti della European Society of Human Genetics ritengono pertanto prematuro utilizzare i PRS per «selezionare gli embrioni da trasferire in utero» e rilevano che sarebbe opportuno piuttosto fornire al pubblico informazioni adeguate e imparziali. Secondo il presidente della ESHG, Maurizio Genuardi, «[…] è anche fondamentale fornire ai potenziali genitori una chiara comprensione della differenza tra consulenza e marketing».
Ecco la parola magica, «marketing». Scrive il giornalista Giulio Meotti, citando molto opportunamente la pellicola cinematografica Gattaca: «“Test genetici avanzati sugli embrioni. Scegli il tuo embrione più sano”. Questo è lo slogan di Genome Prediction, la società americana che vende analisi di embrioni con punteggi di “rischio poligenico” a potenziali genitori. La tecnologia viene già utilizzata in 37 paesi, racconta questa settimana Bioedge. I test di Genome Prediction possono predire non solo le più comuni malattia genetiche, ma anche il rischio di sviluppare diabete, cancro al seno e alla prostata, malattia coronarica e infarto, ipercolesterolemia, ipertensione e schizofrenia, e quindi scegliere un embrione potenzialmente più sano».
Del resto, continua Meotti, «[…] la selezione dei bambini in base all’intelligenza è legale negli Stati Uniti, spiega Michelle Meyer, studiosa di diritto e bioeticista presso il Geisinger Health System in Pennsylvania. […]. Stephen Hsu, vicepresidente della ricerca presso la Michigan State University e a capo della Genomic Prediction, ha detto che “si stanno classificando in modo affidabile gli embrioni in base al potenziale quoziente intellettivo”».
E gli embrioni che non passano l’esame? Che fine fanno?
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