Di traverso alla storia, gridando «Alt!»

Con questo gran titolo nasceva nel 1955 «National Review» contro il sinistrismo, così salutiamo noi oggi un gran giorno

Last updated on Novembre 3rd, 2020 at 02:02 pm

Amy Coney Barrett è giudice della Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America, confermata dal Senato di Washington con 52 voti favorevoli contro 48, com’era previsto. È un grande giorno per gli Stati Uniti, perché nel massimo tribunale del Paese siede adesso una professionista specchiata per competenza, esperienza ed etica. In quell’assise augusta e austera, già prima favorevole ai conservatori, si rafforza quindi adesso ancora di più la maggioranza conservatrice (6 a 3), rendendo sempre più difficili, per quanto non impossibili, decisioni malevole. Umanamente parlando, è quasi il massimo di ciò che si possa fare.

Il giudice Barrett difende al contempo la vita, la famiglia, la libertà religiosa e la legge fondamentale degli Stati Uniti d’America. È un’ottima americana. Il giudice Barrett è anche un’ottima cattolica, e questo dimostra come si possa essere l’una cosa e l’altra, svolgendo persino un compito delicato, ai vertici di quel Paese nato intendendosi cristiano, qual è quello che da oggi per lei inizia.

È un grande giorno però non solo per gli Stati Uniti, bensì per il mondo intero, poiché, lo si sa, lo si ripete, piaccia o non piaccia gli Stati Uniti sono il Paese più importante e forse persino più potente del mondo, comunque uno dei più influenti. Ciò che accade a quelle latitudini non è mai neutro. I suoi riverberi e le sue eco si fanno sentire, forti, addirittura pesanti, ovunque. Il fatto che nel massimo tribunale di quel Paese, chiamata a decidere di questioni dirimenti, persino talora di vita e di morte e di libertà fondamentali inerenti i diritti innati delle persone, sieda oggi un giudice come la Barrett, un giudice in più come la Barrett, è di auspicio enorme per chiunque nel mondo abbia a cuore le cose che contano, vale a dire quei princìpi non negoziabili che sono il fondamento stesso della convivenza umana, e quindi politici nel senso più pieno, nobile ed entusiasmante del termine.

È un giorno più bello, oggi, per chi difende, come noi difendiamo, vita, famiglia e libertà.

L’accelerazione, perfettamente legale, che il presidente Donald J. Trump ha voluto imprimere all’iter di nomina e di conferma del giudice Barrett, e con lui il Partito Repubblicano, è benedetta. Motivo per cui i suoi, i loro avversari, gettata ormai la maschera dell’aplomb anche gli ultimi che ancora la reggevano, lo odiano, li odiano ancora più di quanto già lo odiassero e li odiassero.

Se anche infatti, Dio non voglia, il 3 novembre Trump e Mike Pence dovessero perdere le elezioni a favore dei radicali Joe Biden e Kemala Harris, e i Repubblicani perdere il Congresso a favore del radicalismo dei Democratici, la nomina della Barrett sarà comunque assicurata. I presidenti e i vicepresidenti vanno e vengono, le maggioranze congressuali pure: quel che resta sono i giudici della Corte Suprema federale, che hanno in mano la legge fondamentale del Pese per riverirla come cosa sacra. Non per quella sorta di “positivismo feticista” o “laicismo religioso” che vuole i pezzi di carta arbitri del bene e del male e “più belli del mondo”, ma perché la Costituzione degli Stati Uniti si fonda su quella higher law di cui parlava il giurista Edwin S. Corwin (1878-1963), di cui una storia intera resta a testimone e che risale almeno alla recta ratio summi Iovis di Cicerone (De re publica 3, 22, 33) facendo riferimento a un oltre-l’uomo che fa la differenza come dal giorno alla notte.

Le nomine della Corte Suprema federale sono cioè strutturali. Trump è stato benedetto dal fatto che, in soli quattro anni, ha avuto occasione di nominare tre giudici di quel tribunale. Un gran record che gli ha consentito, in maniera pressoché inedita, di incidere profondamente per il bene sul proprio Pese, dunque sul mondo. Così facendo Trump ha tra l’altro dimostrato di tenere con i fatti a quel che dice nelle parole, e con lui Pence e i Repubblicani. Siano premiati dalla vittoria il 3 novembre, lo meritano.

Qualcuno sostiene che quelle di Trump, di Pence e dei Repubblicani siano solo mosse elettorali. Magari: il mondo ha bisogno come dell’aria per respirare di uomini che cercano di farsi eleggere facendo cose così. La cultura di morte e il relativismo disfattista oggi hanno subito una battuta di arresto grave, negli Stati Unti e nel mondo. Aspettiamoci ora guerra ancora più aperta.

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