Coronavirus, tenere le distanze. Dalle paure

Costringiamo persino un evento infausto a svolgere un ruolo positivo. Per esempio tornando a focalizzare l'essenziale

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Last updated on marzo 6th, 2020 at 03:43 am

Di questi tempi non si può parlare d’altro che dell’epidemia di coronavirus. Certamente è comprensibile. Mi si consenta una riflessione personale. È la prima epidemia che mi capita nella vita, cosa di cui non sono particolarmente felice, ma che mi permette di osservare un evento tanto importante per trarne, malgrado gli evidenti effetti nefasti sul sottoscritto e sulla società circostante, qualche lezione.

Perché parlo di effetti nefasti anche sul sottoscritto? Certamente non ho contratto l’infezione, ma tutto quello che l’infezione crea in termini di psicosi, di paure, di isolamento sociale, lo subisco anch’io come del resto tutti coloro che mi circondano. Allora, proprio per questo, mi è tornata alla mente la prossemica.

L’enciclopedia Treccani la definisce così: «Parte della semiologia che studia il significato assunto, nel comportamento sociale dell’uomo, dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti, e quindi, più in generale, il valore attribuito da gruppi sociali, diversi culturalmente o storicamente, al modo di porsi nello spazio e al modo di organizzarlo». Se ci si fa caso, quello della prossemica è davvero uno dei problemi fondamentali posti dall’epidemia del coronavirus.

Per esempio, all’inizio il problema principale era che la stessa epidemia fosse scoppiata per via della distanza ravvicinata che ci sarebbe stata fra gli esseri umani e certi animali che vivono selvatici in Cina. Sono tra chi non crede moltissimo all’ipotesi del contagio nel mercato di Wuhan, ma diciamo che sia assodato che certi animali sono portatori di virus. Quindi non rispettare certe distanze non è mai prudente. Adesso invece il discorso è quello della distanza fra gli esseri umani, una situazione che incoraggia le persone a rimanere in casa, chiusi nelle proprie famiglie. Ma il problema è che, in ipotesi, non si è sicuri neanche in questo caso, perché un figlio, una moglie, un marito, lo zio, potrebbero essere inconsapevolmente portatori sani o a lenta incubazione del virus. Quindi, in un certo senso, questa malattia perturba le regole che le persone si impongono quando si relazionano con agli altri in senso spaziale. Un’immagine interessante reperibile online divide gli spazi delle relazioni in intimo, personale, sociale e pubblico. Di solito, con il proprio partner, si condivide lo spazio intimo; con gli altri familiari o con gli amici si condivide quello personale. Poi lo spazio sociale si condivide nella vita di tutti giorni e questo stesso è immerso nello spazio pubblico. Ma tutto questo oggi sembra minacciato, giacché la paura del contagio ci fa temere qualcosa a ogni starnuto o colpo di tosse.

I medici, i virologi e gli epidemiologi lo dicono continuamente: questo virus non è come fosse il virus dell’Ebola. Certamente è vero, ma dai dati recenti si può dire che non è neanche un raffreddore comune. Poi gli antropologi, i sociologi e gli psicologi possono anche insegnare come la psicosi che si innesca nelle persone segua meccanismi a volte sganciati dall’evento che li provoca. Oggi nei supermercati le scene manzoniane sono all’ordine del giorno. Si pensi anche a quanto succede per le Messe, che in alcuni luoghi sono state sospese per evitare assembramenti di persone. Verrebbe da dire che, visto il declino della partecipazione alle liturgie, non si vedono comunque assembramenti anche in tempi normali, però è comprensibile che la paura possa suggerire di evitare situazioni in cui ci possa essere una trasmissione più veloce del virus. 

Ne I promessi Sposi, per tornare ad Alessandro Manzoni (1785-1873), è nota la scena in cui viene richiesto al cardinale Federico Borromeo di organizzare una processione per scongiurare l’epidemia di peste che stava investendo proprio Milano. Il cardinale, certamente persona molto pratica, in un primo tempo rifiutò, proprio per evitare che l’assembramento di persone potesse favorire il passaggio del virus piuttosto che scongiurarlo. Poi ci ripensò. Morale? Aiutiamoci a focalizzare la nostra attenzione su cose essenziali piuttosto che sulle distrazioni. La lettura, la meditazione, magari pure la preghiera. Per costringere persino un evento infausto a svolgere un ruolo positivo, e difendere sempre la vita invece che la cultura di morte, che già troppa ce n’è in giro, fisica, spirituale, persino mentale.

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