Questo è il moderno giuramento professionale dei medici italiani. Si ispira al Giuramento di Ippocrate, il primo testo deontologico della storia della medicina che prende il nome appunto da Ippocrate di Kos (460-377 a.C. terminus post quem), il medico greco che lo formulò nel 430 a.C., dopo essersi guadagnato fama imperitura per avere contribuito, l’anno prima, a debellare la peste che devastò Atene. Il giuramento segna l’ingresso del medico italiano nella professione e la sua ultima versione, quella qui riportata, è stata adottata dal Comitato Centrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri a Bari, il 13 giugno 2014. È di una bellezza commovente, superato solo dall’originale, che inizia con l’invocazione agli dèi, «Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dèi e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto», e che chiude solennemente: «E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato dagli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro».
I medici sono, relativamente alla propria professione, missionari ed eroi. Non è necessario inoltrarsi in giungle sperdute per essere missionari, come non è necessario vincere i giganti per essere eroi. Basta inoltrarsi nelle giungle urbane quotidiane e vincere i giganti di tutti i giorni in corsia per esserlo, ora dopo ora, nascostamente, facendo semplicemente ovvero sublimemente il proprio dovere.
I medici che oggi combattono il coronavirus in Italia sono missionari ed eroi più per quello che fanno quotidianamente e nascostamente che non per uno sforzo eccezionale, attuale o possibile. Poi c’è anche quella, l’eccezionalità, ma l’uno non ci sarebbe se non ci fosse prima (cronologicamente e logicamente) l’altro, giacché non si sa a essere fedeli nelle cose grandi se non lo si è nelle piccole.
I medici che vediamo oggi ai notiziari della televisione, confinati come siamo dentro le mura delle nostre case, fanno venire il magone, come quando un’ambulanza rizza i peli sulle braccia sfrecciando per le via della città in barba a semafori e a divieti per portare un sofferente alle cure, per portare qualcuno che ha bisogno di aiuto nel luogo dove, non si sa se saranno in grado di guarirlo, ma di lui si prenderanno cura.
I medici italianai che vediamo in questi giorni all’opera sono come i pompieri dell’Undici Settembre a New York, come il generale Hal Moore di We Were Soldiers, tutte storie vere.
I medici italiani delle cui gesta abbiamo eco tramite i media ci ispirano sentimenti di grandezza, e poi li vediamo stramazzare vinti dalla fatica come in una foto famosa che ora circola ovunque, solo per riprendere più alacri di prima poco dopo.
I medici italiani di oggi sono la parte migliore di noi, quello che tutti vogliamo essere almeno un attimo nella vita.
I medici italiani di oggi accudiscono e proteggono la vita, come Ippocrate ha insegnato 2500 anni fa.
I medici italiani di oggi sono gli eroi che domani ‒ passata la tempesta del coronavirus, poiché la tempesta nel coronavirus passerà ‒ vedremo impegnati a difendere ancora la vita, sempre la vita, comunque la vita, impedendo la mattanza dell’aborto di vite umane innocenti, contrastando l’eutanasia, difendendo l’umanità innocente ancora allo stato embrionale. Vero?
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