Prosegue, a Londra, l’udienza nell’Alta Corte britannica per decidere la sorte di Archie Battersbee, 12 anni, ricoverato nel Royal London Hospital di Whitechapel, a Est della capitale, in coma dal 7 aprile scorso in seguito a un incidente occorso nella sua abitazione di Southend.
Dopo il susseguirsi di decisioni e sentenze, nel «miglior interesse» del bambino, la vicenda giudiziaria prosegue e in queste ore il giudice Anthony Hayden ha sentito fra gli altri gli avvocati che rappresentano il Barts Health NHS Trust, che si occupa della gestione dell’ospedale londinese.
I legali hanno dichiarato davanti al giudice Hayden che Archie avrebbe subito una lesione cerebrale «devastante» e che i medici specialisti non credono sia «nel suo interesse» continuare il trattamento con i supporti vitali. Martin Westgate, consigliere della Corona (QC), ha affermato che «tutto ciò che il trattamento può fare è ritardare l’inevitabile risultato», come riportato nella testimonianza ripresa sul sito web della BBC, concludendo che «[…] il trattamento continuato sarebbe “gravoso”, “contrario alla dignità” ed “eticamente angosciante” per i medici che l’hanno in cura».
L’avvocato Ian Wise, che rappresenta i genitori di Archie, Hollie Dance e Paul Battersbee, ha raccontato invece al giudice Hayden le speranze per la guarigione del ragazzo e ha sostenuto che il trattamento continuato cui è sottoposto non è affatto «inutile», sottolineando che in caso eventuale di arresto cardiaco anche i genitori hanno accettato che sarebbe opportuno non intervenire con la rianimazione forzata.
La mamma di Archie, Hollie Dance, ha dichiarato davanti al giudice di essere sicura «al 100%» che Archie avrebbe voluto che il supporto vitale continuasse. «Se è la volontà di Dio e Archie vuole arrendersi, allora si lasci che la natura faccia il suo corso», dice, ma chiede anche che il suo bambino abbia, nel frattempo, davvero una «vita degna di essere vissuta» e «nelle circostanze attuali […] una vita dignitosa». «In queste circostanze», ha detto l’avvocato Wise, i genitori «non vedono la necessità di affrettare la sua morte».
Non resta ora che attendere la sentenza dell’Alta Corte.
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