Contro il bavaglio imposto dal «Ddl Zan»

Recensione di un testo indispensabile per capire l’Italia di oggi e i pericoli verso cui è incamminata

Copertina del libro Omofobi per legge?

Image by Centro Studi Rosario Livatino

Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:00 am

Omofobi per legge? Colpevoli per non aver commesso il fatto, il libro realizzato dal Centro Studi Rosario Livatino e curato da Alfredo Mantovano per le edizioni Cantagalli di Siena, viene presentato oggi a Roma a palazzo Maffei Marescotti. Raccoglie i contributi dei giuristi Domenico Airoma, Francesco Cavallo, Francesco Farri, Carmelo Leotta, Mauro Ronco e Roberto Respinti, ma non è un lavoro solo per giuristi.

È un testo tecnico, sì, scritto da addetti ai lavori, ma è anche fruibile e godibilissimo per chiunque desiderasse farsi un’opinione seria, basata su dati e fatti, e non su opinabili reazioni “di pancia”, a proposito di un tema oggi quanto mai spinoso in questo Paese.

I precedenti sono noti: il 27 luglio (in piena estate, tra afa, zanzare, siesta e piscina per qualche fortunato…) andranno all’esame della Commissione Giustizia della Camera dei deputati cinque proposte di legge a contrasto dell’“omo/transfobia” (sic), riunite tutte, dopo il primo esame, sotto la dizione comune di «Ddl Zan», dal nome dell’on. Alessandro Zan, il quale ne fatto, più che una sintesi, un compendio.

Si tratta dell’estensione dell’ambito applicativo degli articoli 604 bis e 604 ter del Codice penale, incentrati sulla punibilità della «propaganda e [dell’]istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa», alle ipotesi relative alla discriminazione legata piuttosto al concetto di genere e di identità di genere: “iFamNews” ne ha già ampiamente trattato e Francesco Farri ne dà, in Omofobi per legge?, una sintesi ottima.

In caso di “conclamato” reato di omo/transfobia, le pene accessorie previste sarebbero, oltre al carcere da uno a sei anni, persino «l’obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità; l’obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno; la sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l’espatrio per un periodo non superiore ad un anno, nonché divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere; il divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni»: così spiega, nel libro, Carmelo Leotta.

Ora, tutti sanno, non è vero?, che qualora la pena preveda un tempo massimo di cinque anni di galera, sono ammesse, in corso di indagine, anche le intercettazioni telefoniche e ambientali e la custodia cautelare in carcere?

Ma proseguiamo: è o non è, oggi, in Italia, la cosiddetta omo/transfobia, un reato conclamato e dalle proporzioni preoccupanti, da vagliare urgentemente e da punire di conseguenza? In Omofobi per legge? tanto Domenico Airoma, quanto Mauro Ronco, quanto Alfredo Mantovano affermano che non sia così: i numeri non raccontano un’emergenza di questo tipo, né per altro la segnala l’OSCAD, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, istituito nel 2010 dal ministero dell’Interno nell’ambito del Dipartimento di pubblica sicurezza: un organo dello Stato, con il compito preciso di vigilare su questi temi e su tutto quanto riguardi i cosiddetti hate crimes, denunciati oppure sommersi (di nuovo, nel testo, ne tratta Mantovano).

Gli autori del libro si avvicendano, quindi, spiegando l’origine e lo sviluppo del termine «omofobia», descrivendo una battaglia politica, ma soprattutto ideologica che, povera di vere e pregnanti questioni, si aggrappa alle pure parole, di reato d’opinione, di differenza formale e sostanziale fra “distinzione” e “discriminazione”, di Italia di oggi e Stati Uniti d’America negli anni 1960, di razzismo e di sessismo, di pasticcieri, pizzaioli e fioriste statunitensi trascinati davanti ai tribunali, sino alla Corte Suprema federale, per non aver acconsentito privatamente al riconoscimento pubblico del “matrimonio” same sex.

Per arrivare al dunque, occorre ammetterlo, e lo sintetizza molto bene Roberto Respinti, autore dell’ultimo capitolo del libro: cosa deve, e l’imperativo è usato consapevolmente, cosa deve preoccupare chiunque, e in special modo chi si occupi di questi temi dal punto di vista professionale, oltre naturalmente chi abbia a cuore la famiglia e la società tutta?

Il «Ddl Zan» è insomma un bavaglio. Un bavaglio messo sul volto della manifestazione del pensiero libero, della libertà di opinione, soprattutto della libertà di manifestazione di sé. Altro che guanti, mascherine e stato d’emergenza prolungato ad libitum.

Certo, è possibile augurarsi di trovarsi dalla parte di chi potrà esprimere pensiero e opinione. Ma non è detto. E comunque sia è ingiusto.

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