Cerco smentite a quel che pubblichiamo oggi

Scrivo questo articolo per scontentare fautori e detrattori del «Green Pass» avendo a cuore ben altro

semaforo verde

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Last updated on Dicembre 19th, 2021 at 05:38 am

Mi piacerebbe vivere in un Paese più bello. No, non nel migliore dei mondi possibili, perché in quello già ci vivo da sempre, il nostro, l’unico esistente. Ma quello, migliorato.

Migliore perché più serio, addirittura più vero. Un Paese in cui si usa la bocca per nutrirsi e la testa per ragionare senza fare confusione fra i due organi e le loro rispettive funzioni. Un Paese in cui si discute invece di dibattere e di dibattersi. Un Paese in cui ci si confronta a ragion veduta, avendo approfondito e utilizzando dati senza far valere come veritativa ogni frase che abbia senso sintattico formale, tipo “gli asini volano”.

Un Paese, cioè, che non trasformasse ogni questione seria (le fanfaluche le tratta invece serissimamente) in derby da bar fra tifoserie contrapposte che godono quando si fanno espellere per fallo di reazione seguito a carognate negli stinchi dell’avversario.

Prendiamo per esempio la questione del «Green Pass». Nessuno fra noi comuni mortali conosce la verità sul “certificato verde”. Non sappiamo se sia un toccasana oppure una porcheria, e nemmeno se sia una via di mezzo fra le due e, nel caso, quanta dose di illiberalità è il caso di accettare. Letteralmente non lo sappiamo. Andiamo ad experimentum. Proviamo, sbagliamo e riproviamo. In ciò non vi è nulla di male. Tranne il non dirlo. Tranne, cioè, fingere di sapere tutto preventivamente sul conto di questo benedetto o maledetto «Green Pass».

Che cos’ è la scienza

Sul «Green Pass», e su un mucchio di altre cose così, non sappiamo nulla perché non possiamo sapere nulla. È – tra l’altro – una fattispecie dell’induzione scientifica. In campo scientifico, sappiamo ciò che riusciamo a conoscere. Con buona pace di ogni scientismo, persino moderato, la scienza le cose non le sa. Le scopre, di mano in mano. E sbaglia. E si corregge. E si riaggiusta.

Questo accade perché la scienza indaga oggetti sensibili o particolari, da cui cerca di inferire leggi generali, le quali sono valide fino a prova contraria. Cioè quando un fenomeno costringe benemeritamente a rivedere in parte o riscrivere per intiero la legge. E così, sempre. Non esiste la legge ultima e finale.

Sì, la cerchiamo, quella legge ultima e finale, implicitamente o esplicitamente, ma ho come la sensazione che non rientri strettamente nel campo empirico e fenomenico della scienza. Insomma, che se la scienza empirica dovesse scoprirla, passerebbe di grado e di stato, per sublimazione, diventando qualcos’altro, ovvero un altro tipo di scienza. Ma ho anche l’idea che ne sia strutturalmente incapace e il dirlo non è diminutio: non è da meno la chimica rispetto alla critica letteraria perché non riesce a interpretare il sentimento di Giacomo Leopardi, gli è solo che si occupa statutariamente di altro e non è dotata degli strumenti adatti all’analisi della lirica poetica.

Non c’è dunque nulla di male nel capire se davvero il «Green Pass» funzioni o meno. Perché se ne occupa un po’ anche «iFamNews»? Perché, volenti o nolenti, il mondo non parla d’altro e di mezzo ci finisce sempre la libertà vera della persona.

Ma allora perché si finge il contrario? Perché fingere di avere la verità sul «Green Pass»?

Siamo rimasti pochi

A questo punto di questo mio articolo sarò certamente rimasto con pochi lettori. Gli altri se ne saranno andati dandomi del «no pass». Per questo ho iniziato dicendo che mi piacerebbe vivere in un’Italia migliore, in un’Italia dove si ascolta invece parlare soltanto. Il sottoscritto non è affatto «no pass» così come non è affatto “Forza pass!”. I pochi lettori rimastimi mi accuseranno adesso di furbizia. Mi difendo. Non cerco la furbata, cerco ben altro: cerco di spostare il problema.

Perché francamente del dibattito sul «Green Pass» me ne infischio. Sono molto più interessato a vedere gli italiani usare ragione e buon senso, adattarsi eventualmente anche a un piccolo male per cavarne con resilienza un bene maggiore oppure contestare un grande male se sacrifica davvero il bene superiore. Ma per farlo occorre in tutti i casi essere puri, o almeno sobri. Fare domande vere e attendere risposte altrettanto vere. E se chi di dovere le risposte non le ha, avesse la buona educazione di ammetterlo. Questa è l’Italia migliore che cerco.

Invece no, tutti sanno già tutto per coprire di non sapere nulla, invertendo il buon vecchio Socrate.

Io non so se il «Green Pass» funzioni o meno. Vorrei che chi di dovere lo spiegasse, a valle degli esperimenti, e non recitasse invece una parte, qualsiasi sia la natura della retribuzione che ne gode.

Vorrei un’Italia dove si dessero dati invece che chiacchiere, in cui si prendessero in conto tutti i fattori e in cui ci si confrontasse anche con l’ipotesi che uno studio stronchi il «Green Pass».

Che c’è infatti di male? A chi governa, ovvero gestisce ampia parte della vita associata delle persone, nessuno domanda la bacchetta magica: basta solo l’onestà. Compito della politica è trovare soluzioni concrete adeguate. Nessuno accuserebbe la gestione politica di un Paese di non sapere come affrontare una situazione inedita e grave, ma di millantare sicurezza sì.

Restiamo umani

Per questo vorrei un’Italia in cui domani lo studio cui rimandiamo oggi venisse contestato da cima a fondo: pubblicherei subito la notizia. Oppure un’Italia che prendesse atto della verità di tale studio e cercasse alterative. Senza asine da orecchio, senza recriminazioni, con molta onestà.

Perché se accadesse, sarebbe un’Italia in cui, alla malora il «Green Pass» sì o il «Green Pass» no, si resterebbe più umani invece che farlo dire a uno scimmione di una réclame.

Sia infatti sempre chiara una cosa, così come lo sia la posizione di noi di «iFamNews», che non siamo virologi, epidemiologi, nemmeno medici condotti, tantomeno «no vax» “supervax”, «no pass» e no pasarán. Gli studi cui vogliamo fare eco come omaggio supremo alla discussione e non al “dibbattito”, alla libertà e non alla tracotanza, all’intelligenza e non al pecoronismo pecoreccio di qualsiasi segno, non hanno pretesa di completezza. La completezza l’indagine empirica non ce l’ha infatti mai per definizione. Però presentano dei fatti. E i fatti vanno presi in considerazione sempre. Sempre con serietà, sobrietà e terzietà. Solo così possono essere confermati o smentiti, e sempre da altri fatti. Ma, appunto, rappresentano spunti di riflessione e di indagini ulteriori che andrebbero almeno presi in considerazione al di là delle risse da strada anche se in camice bianco o giacca e cravatta. Noi proprio per questo li mettiamo in pagina. Sempre però che qualcuno sia arrivato a leggere questo articolo fino al suo ultimo punto fermo e non ci abbia archiviati dopo solo qualche rigo, arruolandoci tanto bovinamente quanto falsamente in una delle tante tribù dei “no” che scorrazzano per le praterie di questo nostro mondo sempre più incapace di pensare.

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