Last updated on Novembre 20th, 2021 at 07:01 am
Carissimo Roberto Saviano, lei è scrittore di talento e personaggio di spicco, volto televisivo e commentatore ascoltato. La sua competenza in fatto di lotta alle mafie viene additata a esempio e la sua perizia nell’analisi del crimine organizzato è indicata a modello.
Lo so, fa caldo, in metà Italia, e pure io, come lei, boccheggio. La mente in questi frangenti si assopisce, i sensi si offuscano, le reazioni si fanno lente e difficili, sornione. Anche il gesto che ci è più naturale e il ragionamento che ci è più consono, insomma, faticano. Ma, nonostante questo, lei, pure uomo del Sud, coglierà subito, senza sforzo, il significato profondo di quell’adagio del Nord che, nella versione tramandatami dai miei, suona “se mio nonno avesse le ruote sarebbe una carriola”.
Voglio dire che certamente anche lei avrà frequentato, a suo tempo, le scuole elementari e lì appreso, prima ancora di imparare, nei cicli dell’istruzione superiore, i paroloni, vale a dire cosa siano i sillogismi onde distinguerli dai paralogismi, che le medesime parole possono assumere significati diversi, che le massime vanno costruite con cura profonda per non cadere nei trabocchetti dei false friend (i quali esistono anche nella propria lingua madre), che le boutade o aiutano davvero a capire meglio tramite il paradosso, magari la celia e un po’ sempre l’ammiccamento, oppure è meglio tacere giacché sennò s’ingarbugliano le cose, succede un parapiglia e si prendono, con il muso, lucciole per lanterne.
Certo di tutto ciò, mi stupisco allora dell’articolo da lei pubblicato l’8 agosto sul “quotidiano degli italiani”, il Corriere della Sera, quello che ospita firme illustri e nomi blasonati, quello che sta sempre nel medesimo quadrante della mappa dove sta il potere (politico, economico, industriale), quello che esprime il pensiero che crede di esprimere la “borghesia illuminata”, e democratica, italiana, qualsiasi cosa questa espressione significhi oggi e abbia significato negli anni della storia attraversati da protagonista da cotanto giornale.
Mi scuso subito: non l’articolo in sé, da cui ho appreso notizie e informazioni che non conoscevo, da cui ho imparato e di cui conserverò memoria. Non l’articolo suo, dicevo, bensì la chiusa dello stesso. La fine da grande penna, quella che porta a maturazione il seminato a lungo sottotraccia, quella che conclude stilettando e saettando con un argomento retorico apparentemente lontano dal tema del testo.
La famiglia.
Lei, per tutto il corpo dell’articolo, descrive e rimbrotta e colpisce la “famiglia” intesa sia come legami parentali sia come struttura organizzativa delle mafie. Poi però, dopo lunga e dotta istruttoria, scarta, cambia passo, diverge solo apparentemente per invece convergere al centro e sparare a rete. Il bersaglio è la famiglia intesa come mamma, papà, figli; la famiglia sua, la famiglia mia, le famiglie nostre. Tiro imparabile, imprendibilmente all’incrocio dei pali, un tiraggiro da manuale.
Perché? Forse perché la famiglia di mamma, papà e figli sia la “famiglia” mafiosa? No, eppure lei lo dice. Così facendo, però, la mafia, che pareva il suo obiettivo, esce dal radar e il target si fissa implacabile sulla cellula fondamentale di ogni società umana da che mondo è mondo, passando da una cosa che pareva chiara a un’altra che non c’entra nulla, giocando insomma sporco, travisando parole e significati. Perché? In odio alla famiglia? E, in odio alla famiglia, lei dà, sul “quotidiano degli italiani”, della mafiosa alla mia famiglia?
Non sapessi chi lei è, sarei tentato di dire “cosa non si fa per scrivere sul Corriere della Sera”.
Comunque sia, mi consenta: tenga giù le mani dalla famiglia, ché se ci fosse più famiglia vera, anche la falsa “famiglia” mafiosa verrebbe neutralizzata. O forse qui la mafia viene usata per dire a nuora affinché suocera intenda in tempi di “famiglie arcobaleno”?
Image source: Roberto Saviano, photo by Selenia Morgillo from Flickr, licensed by CC BY-NC-ND 2.0