Last updated on Febbraio 25th, 2020 at 03:19 am
«You light the spark in my bonefire heart»: il nostro cuore scoppia, scoppia di incontri, amicizia, bellezza, fatica, sofferenza. Di tutto. Non sembrerebbe necessario, di fronte a un tal riverbero delle “cose” su di noi, ricorrere a ragionamenti per dimostrare che la realtà “esista”. C’è, è una evidenza, basta aprire gli occhi al mattino: la colazione, la mamma, il pullman che porta a scuola (lì poi la realtà preme, sotto tanti aspetti e secondo diverse sfumature sensibili). Eppure, di fronte al quotidiano scontro con punti di vista differenti, opinioni contrastanti, un dubbio sorge: ma se l’amico daltonico non vede il biondo dei miei capelli così come lo vedo io, a che serve passare le ore dal parrucchiere? Ma soprattutto: cos’è la realtà? Nemmeno Instagram in questo caso è di aiuto, perché, pur permettendo di porre la domanda, secca, a un moderno guru della filosofia come Matteo Saudino, la risposta è scoraggiante: «nessuno ha mai risposto, da Platone a Schopenhauer».
Oddio, ma se non è possibile affermare l’esistenza della realtà, allora anche la verità non ha più valore! Effettivamente, a pensarci, i giudizi sulle cose nel tempo sono cambiati: gli Aztechi praticavano normalmente sacrifici umani tanto che, ben lungi dal mettere in guardia dall’uomonero, la ninna nanna atzeca augurava al pargoletto il privilegio di morire colpito da un coltello di ossidiana sugli altari degli dèi. Pure quella realtà “scientificamente dimostrata”, quelle idee chiare e distinte delle cose misurabili, comprese quelle che ci vacillano sotto i piedi quando Piero Angela racconta che l’universo, di suo, è buio: «le onde elettromagnetiche di per sé non generano luce, tutto è buio nel cosmo, e silenzioso, perché senza atmosfera non ci sono suoni».
Il valore di un giudizio sembra vacillare, di fronte a una realtà sfuggente. E dai bambini atzechi cui la balia augurava morte violenta, il pensiero corre ad altri bambini, quelli troppo fragili, o deformi, che venivano abbandonati nell’antichità. Nell’antichità? Non solo. È infatti successo qualche mese fa a Torino e di nuovo recentemente a Bologna: due bimbi fortemente desiderati, concepiti con procreazione medicalmente assistita. Di fronte alla diagnosi di una disabilità invalidante entrambe le coppie di genitori hanno deciso di “non riconoscere” il bambino (la legge prevede appunto dieci giorni, dopo la nascita, per il riconoscimento del neonato da parte dei genitori biologici). Contemporaneamente, a Rimini, il tribunale impone al Comune di procedere all’annotazione dell’atto di nascita di due gemelli con l’indicazione, come secondo genitore, della madre che ha donato gli ovuli per la gravidanza, portata poi a termine della compagna (per la legge italiana madre è la donna che mette al mondo il figlio). I due bimbi avrebbero quindi “due mamme”. Ma come? Nemmeno mater semper certa vale più?
Eppure la realtà esiste: è un’evidenza che solo a posteriori capita di voler “tentare di dimostrare”, forse proprio per avallare decisioni e comportamenti che contro la realtà stessa si muovono. Due genitori possono essere, loro, troppo fragili di fronte al dolore di un figlio, e decidere di lasciare ad altri questa responsabilità e questo privilegio (in entrambe i casi di cronaca riportati citati c’è stato subito chi si è reso disponibile ad adottare i bambini). Non di meno quello resterà per sempre il “loro” bambino, e forse nel tempo si renderanno conto che è molto più doloroso nascondersi davanti alla sofferenza di un figlio, piuttosto che accompagnarlo, anche da impotenti, verso il suo destino.
I gemellini di Rimini sono evidentemente cresciuti da due donne, che hanno tra loro un rapporto affettivo. In questo caso, poi, entrambe sono portatrici anche di una relazione genetica con i bambini. Resta però il fatto (vero) che questi due gemellini hanno anche un papà. Che sia un anonimo “donatore di sperma” non cambia le cose: all’origine del loro essere al mondo c’è l’unione di due gameti, due cellule riproduttive con un corredo genetico proprio, che si è fuso generando un nuovo individuo (in questo caso due).
Conviene ascoltare fino in fondo le parole di Piero Angela: l’universo è buio, e silenzioso, ma «il cosmo si accende solo quando appare l’uomo che sa non soltanto vedere queste luci, ma interpretarle».
La realtà c’è (le onde elettromagnetiche esistono) e la conoscenza – presenza intenzionale – è esattamente l’energia dell’uomo, aperta alla totalità dei fattori, il cui ruolo “interpretativo” consiste nel dischiudere il senso, per «orientare e guidare i nostri comportamenti», come spiega il filosofo italiano Andrea Zhok in Identità della persone e senso dell’esistenza.
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