C’è openDemocracy dietro la persecuzione dei medici britannici anti-abortisti

Oltre a Dermot Kearney è sotto inchiesta anche la ginecologa scozzese Eileen Reilly

Pillole abortive

Image from thidaysnews (Flickr)

Quello di Dermot Kearney non è affatto un caso isolato. Un altro medico coraggioso che sta contrastando l’aborto chimico nel Regno Unito è la dottoressa scozzese Eileen Reilly, anche lei vittima dell’invadenza di tribunali non troppo simpatizzanti per la vita nascente.

Anche la Reilly pratica il metodo dell’“inversione” dell’aborto, somministrando progesterone alle donne che hanno assunto la prima delle due pillole, il mifepristone.

Nel febbraio 202 la ginecologa scozzese aveva rilasciato un’intervista all’organizzazione promotrice delle Marcia britannica per la vita, manifestando preoccupazione per le complicazioni legate alla pillola abortiva. «Sappiamo di un caso nel nostro ospedale», dichiarò, «in cui una donna ha assunto compresse per due mesi quando era incinta di 18-19 settimane. Poi ha partorito in casa, e la cosa è stata piuttosto traumatica».

Secondo la Reilly si sta tornando agli «aborti clandestini»: grazie all’exploit delle “kill pill” durante la pandemia, si stanno spingendo le donne a praticare l’aborto «in casa, in aree non sicure». Gli «effetti traumatici dell’emorragia a casa, da sole», sono cose che potrebbero «spaventare le donne per molto tempo». La ginecologa lancia quindi un appello al governo: «Dovrebbe sapere che le donne soffrono per la mancanza di cure».

Tutto l’establishment contro

Per quale motivo la terapia praticata da Kearney e dalla Reilly non è ben vista dall’establishment sanitario britannico? Le dichiarazioni ufficiali di molti medici rimproverano loro protocolli poco sicuri. Parallelamente il General Medical Council (GMC), lente da cui dipendono i medici britannici, ha sospeso i trattamenti forniti dai due medici pro life.

«I medici del Regno Unito non debbono collaborare con gli attivisti contrari all’aborto consigliando e prescrivendo trattamenti non testati e pericolosi», dichiara la deputata Laburista Nadia Whittome, dicendosi «felice» che il GMC stia indagando sulle cure fornite da Kearney e dalla Reilly.

Alla parlamentare britannica fa eco l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) che bolla l’“inversione” dell’aborto come un trattamento «non dimostrato e non etico». Negli Stati Uniti d’America, un medico californiano, George Delgado, promuove un «trattamento» per “invertire” l’aborto con consistenti dosi di progesteronem, ma il suo lavoro è stato contestato dal periodico scientifico New England Journal of Medicine, che definisce il trattamento «non testato e sperimentale», raccomandandone la pratica solo «nel contesto di una ricerca clinica supervisionata da un comitato di revisione istituzionale».

La longa manu di Soros

Alla base dell’inchiesta a carico della dottoressa Reilly vi sarebbe però un’indagine promossa da openDemocracy. Il think tank del miliardario George Soros, noto per la sua avversione al diritto alla vita e alla famiglia naturale, avrebbe infatti sguinzagliato un giornalista in incognito al quale la Reilly avrebbe spiegato il funzionamento della sua procedura medica.

A una domanda sui potenziali rischi per la salute della donna la ginecologa avrebbe risposto: «In fin dei conti, vivi nel Regno Unito, hai un ospedale a disposizione e, se sei preoccupato per l’emorragia, vai a chiedere aiuto».

Nella stessa occasione la Reilly avrebbe dichiarato di aver predisposto un «annullamento della pillola abortiva» al di fuori del suo regolare orario di lavoro di ginecologa.

OpenDemocracy ha quindi trasmesso i dettagli sulle attività della dottoressa al GMC all’inizio di aprile. Nell’udienza del 12 maggio, poi, il Medical Practitioners Tribunal Service ha imposto sei «condizioni provvisorie» alla sua qualfica di medico.

Una di queste condizioni impone che la dottoressa sia «supervisionata in tutti gli incarichi affidatile da un supervisore clinico». Inoltre deve «ottenere l’approvazione del GMC prima di lavorare o di prestare volontariato come medico professionista in un luogo o in un ambiente esterni al servizio sanitario nazionale.

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