Il nostro mondo sta scivolando nell’abisso, gli argini non tengono più. Non passa giorno che la vita dell’uomo, anzi la struttura più intima del suo essere non venga aggredita con violenza inaudita subito dopo che egli è stato svilito e avvilito. Non vi è più nulla di sacro, nel senso più laico del termine. L’uomo, nella sua stessa biologia, è assalito, derubato, espropriato.
La tentazione della disperazione, dunque ‒ lo so perfettamente, di una perfezione quotidiana ‒, è non grande: di più. Trabocca. Viene voglia di mollare tutto, di andarsene, magari su un’isola deserta dove si possono chiudere occhi, orecchi e bocca. Roba da vigliacchi? Certo, ma ad impossibilia nemo tenetur: e, francamente, fermare, anzi persino solo monitorare quel che ogni giorno accade ogni momento è letteralmente, umanamente impossibile.
Ballano, attorno a noi, mostri, orchi e vampiri, incubi e succubi, che ci sberleffano, ci canzonano, ci prendono in giro e ci graffiano, feriscono, stuprano, pungolandoci con le picche infernali.
È un baccanale a occhi aperti, dove tutto e il contrario di tutto si danno appuntamento sulla nostra pelle e nel nostro cuore per vomitarci addosso fiele misto a sangue. L’uomo non è uomo, la donna non è più donna, i bambini vengono stravolti, la famiglia è solo un ricordo lontano, ancestrale, nelle nebbie.
Io, davvero, non ne ho più voglia. Sono stanco. Voglio lasciare tutto, adesso. Vigliacco? Sì, ma che m’importa? Niente. Niente.
Lasciate tutto anche voi, smettete, fate come me. Abbiamo giocato, per un po’, abbiamo scommesso, e abbiamo perso, vinti da chi bara. Andiamocene, su. Non serve a niente battersi, sbattersi, affannarsi. Combattere è vano, la Terra muore quotidianamente, e con essa langue l’uomo. Non c’è più nulla per noi su questa Terra.
Oppure, oggi, sì oggi, proprio oggi, esattamente oggi, possiamo ancora una volta lasciar cadere con un tonfo che rimbomba il ginocchio sulla nuda pietra, nuda come la verità, come la spada, come lo scudo, come la coscienza, come l’essere umano vinto, come la famiglia annientata. Un ginocchio che risuona come un tuono, che rituona picchiando sul marmo, sul sasso, sul selciato, sulla sabbia, sulla terra arata, ovunque tu sia adesso, il tuo ginocchio, il mio ginocchio, adesso che mi stai leggendo. Un ginocchio che si piega e che prega, che implora, che supplica. Oggi, sì proprio oggi che il Cielo incontra la Terra.
La Madre, infatti, ascolta. Ascolta anche i laici, i non credenti, gli atei. E interviene. Basta domandarLe. Così semplice. Mi è venuto in mente proprio oggi, ed è per questo che non do le dimissioni. Fate come me, non c’è altro da fare: solo così c’è la forza per riprendere ogni giorno, ogni istante. Sembra una superstizione? Come credete.
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