Atletica, sfogo di una donna sconfitta dai transgender

Sopportare di dover gareggiare contro atleti maschi e in più tacere

Madison Kenyon

Madison Kenyon

Madison Kenyon è un’atleta della Idaho State University ed è stufa di vedere se stessa e altre donne perdere in gare sportive femminili battute da atleti uomini transgender e ha deciso di denunciare la situazione. In un articolo pubblicato su Fox News l’11 gennaio, l’atleta ha dichiarato che a tutte le donne che si oppongono a questo sopruso «è chiaro come molte delle autorità sul campo – allenatori, amministratori, funzionari sportivie non e pure lo stesso Comitato Olimpico – non solo le molestano, ma rifiutano anche di rispettarne esigenze e identità. Io so quanto sia frustrante. Negli ultimi tre anni ho gareggiato nell’atletica leggera alla Idaho State University, dove per cinque volte ho perso contro maschi che ha scelto di identificarsi come donne».

L’ingiustizia è palese e manda all’aria i duri allenamenti a cui si è sottoposta la Kenyon, che aggiunge: «Qualsiasi atleta donna può dirvi quanto sia sconvolgente» perdere contro una avversario transgender. «Essere competitivi è molto più che presentarsi alla gara o anche semplicemente allenarsi e fare prove. Vuol dire invece rinunciare a tutto per lo sport: alzarsi presto la mattina, saltare le feste perché non si ouò fare tardi la sera, mancare a eventi familiari e scolastici perché si è in gara o si sta lavorando con la squadra. Ma tutto viebne calpestato da un concorrente maschio che ti precede. […] Pensate a tutte le donne che gareggiano […] agli anni di pratica, di sacrificio e di abnegazione, tutto che sprisce nel momento in cui l’avversario maschio prende posta nella corsia accanto».

Ma tragicamente le atlete sono costrette a restare in silenzio. «Io e le mie atlete dovremmo fingere sdi non stare correndo contro persone che non sono come noi, ovvero che sono naturalmente più forti e più veloci, e che di colpo vincono tutti i premi per cui abbiamo lavorato così duramente, hanno accesso a ogni borsa di studio e si prendono quei riconoscimenti atletici a cui abbiamo invece legittimamente diritto noi. Dovremmo sorridere e applaudire e far finta di esserne contente, senza opporci ad anni di sforzo e sogni di una vita andati in fumo, e negare la realtà perché la cosa piace alla gente e permette alla nostra scuola di temnersi alal larga dai tribunali».

Un punto è davvero notevole nell’invettiva della Kenyon. Se l'”identità” ha la meglio sulla realtà, perché si dovrebbe impedire a un pugile dei pesi massimi che si “identifica” come un peso mosca di competere appunto fra i pesi mosca? «Da atleta e da laureata in Biologia trovo fantastico che le stesse autorità sportive che considererebbero follia mettere un peso massimo sul ring contro un peso mosca, solo perché questa settimana il primo “si identifica come peso mosca”, rtitengono invece perfettamente naturale mettere un maschio sulla pista da corsa o sul campo da calcio accanto a una donna».

del resto il risultato di tutta questa faccenda, osserva la Kenyon, è la ascomparsa degli sport femminili: «La competizione atletica si ridurrà a due categorie: maschile e mista, togliendo alle donne la possibilità, non solo di vincere, ma anche di graggiare equamente».

Noidobbe, scrive, «possiamo sconfiggere stanchezza, frustrazione e persino una squadra avversaria forte. Possiamo sconfiggere il tempo. Possiamo sconfiggere pronistici contrari. Ma alla fine non possiamo sconfiggre né la biologia né i funzionari più preoccupati di compiacere la cultura woke che di rispettare le nostre esigenze bisogni e le nostre identità».

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