Ho atteso l’entrata in vigore del tanto magnificato «assegno unico universale» (AUU) con qualche preoccupazione. Un po’ la mia era prevenzione, venendo, il sottoscritto, da quella lunga storia di delusioni e di vessazioni che lo Stato italiano ha sempre riservato alle famiglie numerose, in particolare a quelle che hanno la colpa oggettiva di appartenere al famigerato ceto medio. Il profilo della mia famiglia è infatti presto detto: cinque figli, di cui una ormai non più a carico, con un reddito unico medio-alto.
Ma il pregiudizio si è presto rivelato motivato. La lettura delle norme, infatti, non ha lasciato alcun dubbio. Con l’entrata in vigore dell’AUU la mia famiglia avrebbe perso sia la detrazione che spettava in quanto appunto numerosa (€1.200 l’anno) sia le detrazioni per i due figli minori di 21 anni a carico per i quali avrei riscosso direttamente dall’INPS ben €75 al mese.
Due elementi mi lasciavano però qualche margine di speranza. Il primo era la “sopravvivenza” delle detrazioni per gli altri due figli maggiori di 21 anni; il secondo era quel passaggio (in verità un po’ oscuro) contenuto nelle FAQ dell’INPS che recita testualmente così: “È prevista una quota a titolo di maggiorazioni per compensare l’eventuale perdita economica subita dal nucleo familiare, se l’importo dell’Assegno Unico dovesse risultare inferiore alla somma dei valori teorici dell’assegno al nucleo familiare (componente familiare) e delle detrazioni fiscali medie (componente fiscale), che si sarebbero percepite nel regime precedente».
Non ero sicuro di avere ben compreso i dettagli, ma grosso modo mi sembrava essere questa la famosa «clausola di salvaguardia» che diversi esponenti politici avevano promesso per far sì che il nuovo regime non penalizzasse alcuno.
Con tali aspettative ho quindi atteso la busta paga di marzo (primo mese di entrata in vigore dell’AUU) e l’importo del bonifico INPS. Niente da fare su tutta la linea. Non solo non ho visto nessuna quota «a titolo di maggiorazione», ma il mio datore di lavoro ha pensato bene di cassarmi anche le detrazioni per il terzo e per il quarto figlio a carico.
Eppure, che io abbia subito una perdita economica tra il prima e il dopo, è innegabile, non foss’altro che per la semplice perdita della detrazione di 1.200 euro per le famiglie numerose. Per quanto concerne la sparizione delle detrazioni, ho subito ingaggiato una battaglia (per ora epistolare) con l’azienda mia datrice di lavoro, la quale sostiene, non senza una certa sfrontatezza, che, di fatto, ai fini delle detrazioni, io ormai avrei solo due figli e non più quattro, e che quindi supero il limite di reddito previsto per i due figli a carico. Ma questo ragionamento è irrazionale, oltre che ingiusto. Il fatto che i due figli più piccoli percepiscano l’AUU non li fa scomparire dal mio nucleo familiare. Io ho sempre quattro figli a carico. Quindi le detrazioni vanno conteggiate sui quattro e pagate per i due. Ma su questo me la vedrò con la mia azienda.
Torniamo però alla famosa «maggiorazione compensativa». Mi sono rivolto all’INPS. E ho scoperto due cose. La prima è che il meccanismo di calcolo della maggiorazione è talmente complesso e perverso che probabilmente detta maggiorazione non la percepirà nessuno. La seconda è che, a detta dell’impiegata con cui ho parlato, sono tantissime le persone che si stanno lamentando perché, con il nuovo meccanismo, ci perdono (e non certo tutte persone a reddito alto, anzi). Questa la mia sventura, senza lieto fine. La perdita, per quanto mi riguarda, c’è e non è banale (alla fine sono circa 1500 euro). Ovvero per la me l’AUU si è tradotto in una mini-manovra finanziaria a danno della mia famiglia.
Ma la vera domanda a questo punto è: quante sono le persone che ci stanno perdendo? E dove si collocano rispetto al ceto medio? Che distanza c’è tra la narrazione che ha ammantato di ottimismo il varo dell’AUU e la realtà cruda?
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