Ancora Bonetti: libertà condizionata per gli italiani

Un percorso strategico in vista della parità di genere. Ancora una volta chiacchiere distanti dal Paese reale

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Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:22 am

Dalle pagine de Il Sole 24 Ore il ministro per la Famiglia e le Pari Opportunità, Elena Bonetti, lancia il Piano Strategico Nazionale per la parità di genere, «un percorso partecipato, con il mondo associativo e gli enti territoriali, per progettare i modi e le politiche della parità salariale per un lavoro di uguale valore, la parità nei processi decisionali, l’accesso alle materie STEM e all’intelligenza artificiale per le ragazze». Che al ministro stia a cuore il gender pay gap è cosa nota, così com’è nota la sua preoccupazione per «l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro». Quel che inquieta è però la categoricità del giudizio: «[…] i tempi sono maturi per un passo decisivo. L’Italia è pronta e lo sono anche le italiane». Ma pronti per cosa? La Bonetti parla di un «cambio di paradigma necessario: mettere al centro la persona, consentendo a ciascuno di realizzarsi nella pienezza del suo valore, perché donne e uomini insieme ricomincino a sperare e a declinarsi al futuro». Speranza, valore, futuro: come già in passato le sue parole appaiono immediatamente corrispondenti, convincenti. La “centralità della persona” è davvero una visione condivisibile, così come l’apertura al futuro piena di speranza. Ma anche questa volta c’è un ma.

«I nostri strumenti legislativi devono necessariamente essere accompagnati da processi di carattere produttivo, sociale e culturale», afferma il ministro, al fine di «imprimere quella svolta non più rinviabile per una società più giusta e a misura dei nostri desideri». In altri termini, la Bonetti immagina politiche che imprimano un mutamento ai processi produttivi, modifichino la struttura sociale e abbiano un impatto culturale. La politica, dunque, non avrebbe il compito di organizzare lo Stato così che esso sostenga e promuova lo sviluppo della produttività, delle relazioni sociali e del contesto culturale esistenti. Al contrario, le strutture sociali e l’impianto culturale del Paese, così come i suoi processi produttivi, devono essere modellati in base a una visione imposta dal governo, con l’obiettivo di creare una «[…] società più giusta e a misura dei nostri desideri». Resta da definire il soggetto di quel «nostri»: chi determina il contenuto dei «desideri» degli italiani?

In questo caso particolare, la Bonetti parla di un approccio secondo il quale «[…] tutte le politiche nascano con un’attenzione a specifici indici di valutazione per l’impatto di genere». cioè per «[…] il gender mainstreaming». «Tutte le politiche» (non alcune, non in qualche ambito specifico, non per una attenzione particolare, ma «tutte») dovrebbero avere come preoccupazione principale «l’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne in ogni ambito della società». Perché «le donne del nostro Paese devono potersi sentire libere di fare scelte personali e di realizzazione di sé sia in ambito familiare che lavorativo». Come questo si coniughi con l’imposizione dall’alto di un congedo di paternità obbligatorio non cedibile alla donna, così come di un’ora a quadrimestre di congedo obbligatorio per i colloqui scolastici, o ancora l’obbligatorietà dell’asilo dai tre anni è difficile dirlo. Una libertà imposta per legge, con l’introduzione di stili di vita obbligatori non appare decisamente desiderabile. Il ministro auspica «[…] un’azione educativa che rimuova dalle radici i troppi stereotipi alla base di ogni discriminazione»: quella infarcita di stereotipi, però, è proprio la visione della Bonetti stessa. Sorge spontanea una provocazione: interroghi, ministro, le donne italiane, scopra quali sono, per davvero, i «nostri desideri» di giovani, di spose, di neomamme, di lavoratrici o di casalinghe, di donne mature nel pieno delle nostre energie e capacità, potenziate dall’esperienza della maternità. Si avvicini al Paese reale, abbandonando fantasiose e distanti visioni tanto politically correct. Magari scoprirà che davvero è necessario un cambio di paradigma: da una politica che pretende di sostituirsi alla società e alla cultura a una tradizione culturale (la nostra) capace di esprimere una politica forte, intraprendente, che dia reale sostegno alla società, per il bene di tutti.

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