Anche io sono femminista

Le donne, la femminilità, il rispetto. E la verità

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Last updated on Luglio 8th, 2021 at 05:55 am

Solo pochi giorni fa, il direttore di «iFamNews» si è dichiarato, provocatoriamente, “femminista”. Oggi lo faccio pure io, che, donna, femminista non sono. Ma assolutamente schierata a favore del bene e del benessere delle donne, sì, certo che sì. Fosse solo per interesse personale.

Maya Forstater era visiting fellow con contratto da consulente in ambito fiscale nell’ufficio londinese del Centre for Global Development, un think tank statunitense con sede a Washington, che si occupa di sviluppo internazionale.

Maya è stata licenziata nel marzo 2019 per un tweet giudicato “omofobo”. Infatti, commentando la proposta avanzata dal governo britannico per l’autoidentificazione di genere (oggi è cool definire tutto ciò self-id), la donna aveva scritto che «gli uomini non possono trasformarsi in donne».

Self-id significa che non occorre alcun atto di transizione, né assunzione di ormoni, né interventi chirurgici, nulla, insomma. Io dico e io sono, tutto qui.

A seguito del tweet e del licenziamento che ne è derivato, si è aperto per la Forstater un percorso complesso nell’iter giudiziario britannico, certamente stressante e faticoso dal punto di vista psicologico, forse pure da quello economico. Ma di nuovo, non conta, non conta se sei una donna e se esprimi opinioni che non si allineano facilmente al giudizio comune. Al famoso, famigerato, politicamente corretto. Se non sei vittima dichiarata, non interessa a nessuno.

Ebbene, inaspettatamente, due giorni fa, Maya ha vinto il ricorso: «Credere nell’immutabilità del sesso biologico è un’opinione protetta dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Maya Forstater e tutto il femminismo gender critical sono legittimati a esprimere liberamente il proprio pensiero. Una sentenza che è una grande vittoria per la giustizia e per i diritti delle donne».

 E non solo: «Maya Forstater ha vinto la sua causa perché l’Employment Appeal Tribunal«, il tribunale del lavoro britannico, «ha concluso che la sua convinzione che il sesso biologico sia reale, importante e immutabile ha soddisfatto il test legale di una posizione filosofica genuina e importante che è protetta dalle leggi sull’uguaglianza del Regno Unito». E ancora: «La commissione d’appello ha rilevato che, sebbene le sue parole fossero offensive per alcuni, erano ben lontane dalle opinioni violente e oppressive del “nazismo o totalitarismo”».

 Insomma, è possibile affermare e sostenere che un uomo sia un uomo e una donna sia una donna. Magari non piacerà a tutti, è comprensibile, talvolta la pluralità funziona a senso unico e non tutti sono disponibili ad accettarne le fatiche, benché lo sostengano a parole.

Ma si può, basta averne il coraggio, basta dire che è normale. È possibile farlo anche in ufficio, in fabbrica, in officina, a scuola. Anche in Italia. Per ora.


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