Si è aperto oggi in Polonia il processo a Justyna Wydrzyńska, l’attivista che ha fornito pillole abortive a una donna che aveva subito violenza domestica. Amnesty International twitta: «È il primo processo in Europa nei confronti di una persona accusata di aver aiutato qualcuno ad abortire», la quale «rischia fino a tre anni di carcere».
Lo scandalo, qui, è solo negli occhi di chi lo vuole vedere. Perché mai, infatti, l’aborto dopo uno stupro dovrebbe essere meno grave degli altri aborti? Rileggete. Ho scritto l’«aborto», non ho detto che non sia grave lo stupro. Ma se lo stupro è grave, perché farne pagare la colpa a un piccolo essere innocente? Uccidere il piccolo serve forse a riparare allo stupro? Serve forse a far stare meglio la donna stuprata? Si può forse correggere uno stupro con un killeraggio da sicari?
Esattamente questo è ciò che intendeva Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) quando, nel 1993, disse che nemmeno le suore bosniache stuprate dai carnefici erano moralmente autorizzate a uccidere le creature innocenti che avessero eventualmente e involontariamente concepito.
Perché non è affatto una questione di fede, ma di logica. Due torti, lo sappiamo e lo ripetiamo tutti, non fanno mai una ragione.
Eppoi un’altra questione. Se Amnesty International si sente in dovere di twittare: «Sollecitiamo le autorità giudiziarie polacche ad annullare le accuse», c’è da domandarsi se l’organizzazione non stia tradendo completamente la propria ispirazione e il proprio mandato. Amnesty International è infatti nata ed esiste per difendere i diritti umani calpestati. Perché dunque si schiera dalla parte di chi ha annientato totalmente e definitivamente i diritti umani di una piccola creatura umana indifesa, sopprimendola?
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