Aiuto per Maira, 14 anni, rapita e violentata in Pakistan

Chiede asilo politico in Gran Bretagna per fuggire all’illibertà religiosa

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Last updated on Febbraio 21st, 2021 at 08:03 am

Il caso di Maira Shahbaz è solo uno dei tanti, troppi – ma più di nessuno sarebbe già troppo – casi di ragazze cristiane e indù, per lo più minorenni, che in Pakistan vengono rapite per poi essere costrette a sposare i propri rapitori e a convertirsi all’islam. I numeri riportati da International Christian Concern (ICC), associazione che difende i cristiani perseguitati nel mondo, indicano più di un migliaio di casi l’anno. Per questo, come afferma Tahir Mehmood Ashrafi, rappresentante speciale per l’armonia religiosa, il primo ministro pakistano Imran Khan ha ordinato una indagine su aggressioni sessuali, conversioni forzate e matrimoni fraudolenti con cui i rapitori intrappolano le vittime. Spesso molti membri delle forze dell’ordine, così come i tribunali locali, si schierano dalla parte dei rapitori e per le vittime non esiste via d’uscita.

Maira cerca asilo nel Regno Unito

La storia di Maira segue un copione triste: rapita e violentata da tre uomini in aprile, è stata costretta a sposare uno dei propri stupratori, Mohamad Nakash Tariq, e a firmare una dichiarazione di conversione all’islam. Di fronte alla minaccia della pubblicazione del video della violenza, la ragazza ha ceduto a tutte le richieste dei rapitori. Fuggita dalla casa dell’uomo che l’aveva costretta alle nozze, Maira è stata accolta in un ricovero femminile, mentre il suo caso veniva giudicato dall’Arta Corte di Lahore. La legge pakistana, però, ha imposto che la giovane donna venisse restituita al marito, ritenendo validi sia il matrimonio e sia la conversione all’islam pur se entrambi ottenuti sotto minaccia.

Maira riesce comunque a fuggire di nuovo, grazie all’aiuto dei parenti. Ora si trova però in grande pericolo. Il marito Nakash, infatti, ha denunciato Maira per apostasia, crimine che in Pakistan porta diritti alla pena di morte, e i suoi parenti per rapimento. Di contro Nakash è stato denunciato per stupro di minore. Mentre il tribunale di Rawalpindi sta esaminando la vicenda, Maira – oggetto continuo di minacce di morte per sé e per i parenti – è costretta a nascondersi con la protezione delle forze dell’ordine. Ha perciò domandato asilo per sé e la sua famiglia nel Regno Unito. A suo favore la branca britannica della fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha indetto una petizione che ha già raccolto più di 12mila firme ed è stata consegnata il 4 febbraio a Fiona Bruce, inviata speciale del primo ministro britannico per la libertà di religione e di credo.

«Hanno minacciato di uccidere tutta la mia famiglia», grida Maira. «Mi hanno anche mostrato video di me nuda e le foto che hanno scattato con il cellulare mentre mi violentavano». Indipendentemente dal giudizio del tribunale, la vita della ragazza e quella dei suoi familiari in Pakistan sarà sempre in pericolo, visto che sulla giovane pende l’accusa di apostasia pronunciata dal rapitore e dai suoi sostenitori. Come afferma l’avvocato di Maira, Sumera Shafique, per gli estremisti pakistani la giovane sarà sempre un’apostata e alla prima occasione verrà uccisa.

Non solo Maira

Questa però è “solo” una di tante storie uguali. Arzoo Raja, tredicenne di Karachi, è stata rapita per essere costretta alla conversione e al matrimonio dal quarantaquattrenne Ali Azhar. Convocata di fronte all’Alta Corte del Sindh due settimane dopo il rapimento, Raja avrebbe dichiarato di essere maggiorenne e per questo il matrimonio è stato ritenuto valido.

La studentessa indù Namrita Chandani, rapita e violentata, è stata trovata morta nel settembre 2019: si è parlato di suicidio, ma la famiglia resta convinta che sia stata uccisa. Momal Meghwar, invece, si è suicidata davvero, saltando in un pozzo, nel villaggio di Dalan-Jo-Tarr, incapace di sostenere le persecuzioni cui era sottoposta dagli stupratori, liberati in attesa di processo.

E Farah Shaheen, una dodicenne cristiana del quartiere Gulistan di Faisalabad, è stata rapita dal quarantacinquenne Khizar Ahmed Ali, si è “convertita” e ha “sposato” il rapitore. Suo padre, tentando di salvarla, si è esposto all’accusa di blasfemia per aver osato sollevare dubbi sulla sua conversione. Solo dopo quattro mesi di ricerche ha trovato un avvocato disposto ad aiutarlo. Quando Farah è comparsa davanti al tribunale distrettuale di Allahabad aveva segni profondi sulle caviglie ed era in evidente stato di shock. Nonostante il “ritrovamento” di Farah, è difficile immaginare che i suoi rapitori saranno puniti. L’Union of Catholic Asian News (UCA) ha quindi raccolto la testimonianza dell’attivista Lala Robin Daniel: «Dopo aver negoziato con i criminali gli agenti l’hanno anzitutto portata alla stazione di polizia. Aveva ferite alle caviglie e ai piedi, che in caserma le sono stati medicati. Era traumatizzata e non riusciva a raccontare le torture subite […]. Il matrimonio, la conversione forzata e i piedi feriti parlano dell’orrore passato».

Niente libertà religiosa

In Pakistan il sistema giuridico e amministrativo si dibatte tra i dettami delle leggi laiche e l’adesione alla shari’a islamica. Il matrimonio minorile, per esempio, vietato dalla legge, è però ritenuto ammissibile dalle frange musulmane più radicali. E quando fuori dai tribunali si affollano gli estremisti, nemmeno esibendo certificati di nascita e documenti ufficiali si riesce a far annullare matrimoni contratti da minorenni sotto minaccia.

Secondo il rapporto di Open Doors International, l’organizzazione cristiana che si batte per il rispetto dei diritti umani, ogni giorno più di 340 milioni di cristiani subiscono discriminazioni, disuguaglianze o persecuzioni attive, una situazione resa ancora peggiore dalla pandemia. In particolare, i cristiani in Pakistan sono considerati cittadini di seconda classe: le leggi sulla blasfemia vengono utilizzate per prenderli di mira e gli estremisti islamici spesso cercano giustizia privata, uccidendo chi ritengono abbia trasgredito.

La rappresentante Fiona Bruce, del Partito Conservatore, ricevendo la petizione lanciata da ACS in favore di Maira ha dichiarato: «La situazione di Maira e della sua famiglia è tragica e tocca il cuore, come dimostrano le migliaia e migliaia di persone che hanno firmato la petizione in suo favore che ho ricevuto oggi. La inoltro subito all’attenzione del ministro dell’Interno affinché la consideri con urgenza». Una lettera aperta al primo ministro per sostenere la richiesta di asilo è stata firmata da più di 30 fra parlamentari, vescovi e leader di charity e di organizzazioni per i diritti umani. Tra questi vi è mons. Philip Mounstephen, vescovo anglicano di Truro, in Inghilterra, che dice: «Casi tragici come quello di Maira Shahbaz sono un banco di prova per l’impegno del governo britannico di mettere la libertà religiosa al centro della propria politica estera. Esorto quindi il governo a riconoscere come i diritti di Maira siano stati potenzialmente compromessi in modo fatale e ad offrirle asilo».

Dichiarazioni analoghe sono state espresse dall’arcivescovo copto ortodosso di Londra, Angaelos, dal direttore nazionale di ACS UK, Neville Kyrke-Smith, nonché dal presidente e fondatore di Christian Solidarity Wordwide, Mervyn Thomas.

Come afferma l’ACS, «fino a quando il Pakistan non prenderà la questione di petto le prospettive per Maira, per Arzoo e per le centinaia di altre persone colpite allo stesso modo ‒ persone che soffrono perché donne, perché giovani e per la fede che professano ‒ rimangono molto incerte».

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