La figura del magistrato Rosario Livatino (1952-1990) va molto oltre la vicenda personale e persino la beatificazione, avvenuta il 9 maggio 2021 per martirio in odium fidei. Il pensiero giuridico di Livatino, infatti, alla luce della crisi attuale del diritto, desta attenzione straordinaria anche nel panorama accademico internazionale. Del resto in Italia è alacremente attivo da anni il Centro Studi Rosario Livatino (CSL), che del magistrato porta avanti l’ispirazione e interpreta il legato, combattendo sempre in prima linea la battaglia per una giustizia davvero giusta al di là del troppo parlare per formule e ideologie, per il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, per la famiglia naturale, per una fiscalità equa, contro la droga e per una convivenza autenticamente a misura di uomo, con interlocutori nella società civile e nella politica italiane.
Al magistrato assassinato dalla mafia trentadue anni fa un gruppo di associazioni, composte da giuristi cattolici francesi, belgi e lussemburghesi, dedica infatti un webinar domani, giovedì 19 maggio, alle 18.30, dal titolo Rosario Livatino: Inspirational Lawyers Fighting Money Laundering. Interveranno Domenico Airoma, procuratore della repubblica ad Avellino, e Filippo Vari, docente di Diritto costituzionale nell’Università Europea di Roma, che sono due dei tre vicepresidenti del CSL, nonché Claude Eischen, procuratore delegato nella Procura europea.
Dottor Airoma, qual è lo scopo della conferenza online promossa assieme a colleghi francesi, belgi e lussemburghesi?
In primo luogo va sottolineato il fatto che la fama di Livatino ha da tempo varcato i confini nazionali, a conferma del fatto che la santità è una realtà universale. Livatino è quindi un modello per i giuristi di tutto il mondo e da ciò nasce l’esigenza dell’approfondimento. La sua figura ha incuriosito cioè molti colleghi in Europa, che hanno voluto comprendere per quale ragione egli sia stato il primo giudice dell’era moderna a essere beatificato. Ritengo Livatino un giurista “antico”, ma, al tempo stesso, innovativo e molto attuale. “Antico” perché ripropone temi mai passati di moda, a partire dal rapporto tra legge positiva e diritto naturale. Non va dimenticato infatti che, nei suoi scritti, Livatino ha trattato temi importanti riguardanti la vita, si è occupato di eutanasia, di manipolazione genetica. Ha scritto pagine molto importanti anche sull’obiezione di coscienza. Si è spinto, cioè, alle radici del diritto, cercando di indagarne il fondamento ultimo. Al tempo stesso, però, è un giurista innovativo e lungimirante, se lo si guarda alla luce della decadenza attuale, per cui il diritto si è ridotto a essere mero strumento di assecondamento di desideri e di voglie, perdendo ogni carattere di oggettività, di limite e di regola, e rinunciando ad affacciarsi a quella finestra sul “mondo superiore” che è poi l’unica luce capace di dare un senso a tutte leggi scritte. Livatino fa riscoprire il diritto come limite, apre a un orizzonte superiore.
Ora, più che fare disquisizioni sul pensiero di Livatino, durante il webinar parleremo soprattutto di chi sia stato Livatino. Comprendendo la sua vita, e quel che ha fatto e che ha scritto, si comprende infatti anche qual sia il suo modello di giurista. Anche se non avesse scritto nulla, la sua vita parlerebbe del resto per lui. Il giurista cattolico deve poter riscoprire il senso della coerenza tra fede, cultura e impegno professionale. Da questo punto di vista Livatino è provvidenziale.
Quanto sono attuali la figura di Livatino e il suo pensiero alla luce delle sfide odierne contro la vita e della biopolitica?
In quest’ottica è utile rileggere la conferenza su fede e diritto in cui lui affronta il tema, chiarendo come questi temi non richiedano necessariamente un approccio confessionale. Al contrario, come lo stesso Livatino afferma, sono temi che vanno trattati sotto il profilo della religione naturale, in quanto si basano su una concezione eminentemente antropologica, che accomuna tutti gli uomini. Non a caso, quando, per esempio, parla di eutanasia, Livatino cita anche autori laici. Quando parla dell’indisponibilità del bene della vita, lo fa con argomenti di ragione. Molto spesso noi giuristi cattolici, in qualche modo, ci autoconfiniamo in una sorta di francobollo identitario, finendo, per certi versi, per depotenziare i nostri argomenti, che diventano così giocoforza appannaggio solo di chi ha il dono della fede. Livatino rovescia invece questa prospettiva: vi sono temi, come la vita o la coscienza, che riguardano tutti gli uomini e che non richiedono l’appartenenza a un credo. Questo, a mio avviso, è un passaggio importante, fondamentale anche nell’apologetica quotidiana. Si dovrebbe prendere spunto da questo tipo di insegnamento.
Nell’ottica di Livatino come deve porsi un magistrato, specie quando deve trattare temi eticamente sensibili?
Devo dire che Livatino è proprio l’antitesi del “magistrato di sistema”. Era molto lontano da ogni logica di carrierismo. Una sua frase è diventata molto nota: «Il giudice, oltre che essere, deve anche apparire indipendente». Deve cioè stare lontano da circuiti di potere o affaristici, che potrebbero appannarne l’immagine di terzietà e di imparzialità. Solo se conserva questa immagine, il giudice può fare in modo che chi viene giudicato da lui accetti davvero di essere giudicato. È altrettanto importante tenere presente che, nel tempo in cui è vissuto Livatino, era molto di moda l’uso alternativo della giurisdizione per scopi politici anche confessati. A quel tempo invece Livatino ha avuto il coraggio di dire che il giudice non può sostituirsi al legislatore, ma deve semplicemente applicare la legge. Indubbiamente il giudice ha un proprio orientamento culturale, sarebbe ipocrita non ammetterlo: egli non può però sostituire il proprio orientamento a ciò che il legislatore ha codificato. Livatino è molto rispettoso delle prerogative del limite. Questo aspetto è stato sottolineato anche da Papa Francesco quando ha ricevuto il CSL in udienza: in quell’occasione il Santo Padre ha sottolineato come Livatino sia l’antitesi del giudice superuomo che pretende di giudicare l’altro non solo per quanto ha fatto, ma persino sotto il profilo morale. Quest’ultimo è un rischio gravissimo, la cui degenerazione la vediamo purtroppo ogni giorno. Si deve giudicare l’altro per quello che ha fatto, ma il giudizio morale non spetta al giudice umano. Un principio, questo, che ovviamente Livatino ha anche messo in pratica.