La Spagna si conferma la punta mortifera di diamante della rivoluzione antropologica permanente in atto in Europa, nascondendosi ancora una volta dietro l’eufemismo ipocrita dei «diritti riproduttivi».
La riforma appena varata dal governo scoial-comunista guidato da Pedro Sánchez prevede l’allargamento delle maglie della Ley orgánica de salud sexual y reproductiva y de la interrupción voluntaria del embarazo, approvata nel 2010, ai tempi di un altro esecutivo socialista (e nichilista), quello di José Luis Rodríguez Zapatero.
Una sola luce tra tante ombre
Il cambiamento più radicale è rappresentato dalla possibilità per le minorenni dai 16 anni in poi di abortire senza il consenso dei genitori. Vengono inoltre eliminati i tre giorni di attesa (riflessiva) prima di decidere de procedere o meno alla soppressione del bambino e l’obbligo di ricevere informazioni sull’aborto.
Una bozza precedente della legge stabiliva che l’aborto fosse garantito in tutti gli ospedali pubblici, un punto successivamente modificato nel diritto delle gestanti di accedere a strutture pubbliche o private che pratichino l’aborto. Rimane quindi salvaguardata l’obiezione di coscienza.
Altri punti rilevanti: la distribuzione gratuita delle cosidette «pillole del giorno dopo» (abortive) da parte del sistema sanitario e l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole a partire dalla prima infanzia.
È inoltre previsto il congedo mestruale retribuito fino a cinque giorni: nel caso in cui i dolori provocati dal ciclo femminile divengano dolorosi al punto di essere invalidanti, la donna può ottenere un certificato medico ad hoc, purché si tratti di una sindrome pecisa diagnosticamente verificata.
L’unico aspetto positivo della nuova legge spagnola è che l’«utero in affitto» resta un reato e che anzi le pene per chi si macchi di questa turritudine vengono inasprite. Saranno infatti perseguite le coppie che ricorrono alla surrogazione all’estero e restano vietate le pubblicità alle agenzie per la surrogazione.
Governo autocompiaciuto
«È finito il tempo di andare al lavoro imbottite di pillole e dover nascondere che. nei giorni del ciclo, patiamo un dolore che ci impedisce di lavorare», afferma Irene Montero, ministro delle Pari Opportunità e donna-simbolo del nuovo femminismo istituzionale iberico.
«Siamo il primo Paese d’Europa a regolamentare permessi speciali temporanei per mestruazioni dolorose pagati interamente dallo Stato», ha aggiunto con orgoglio il Ministro.
Non meno autocompiaciuto il commento del premier Pedro Sanchez: «Approviamo in #CMin [Consiglio dei Ministri, ndr] la #LeySaludSexual che amplia i diritti sessuali e mestruali delle donne, garantisce l’aborto in condizioni di parità e ne tutela i diritti nella sfera riproduttiva», twitta Sanchez. «Avanziamo nel femminismo. Le donne dovrebbero poter decidere liberamente della propria vita».
Bocciatura della Corte Costituzionale: un’ipotesi remota
Quando fu approvata la precedente legge sui «diritti riproduttivi» e sull’aborto, il Partito Popolare (allora, come oggi, all’opposizione) fece ricorso alla Corte costituzionale di Madrid.
Secondo il quotidiano El Pais, la possibilità che i Popolari possano però nuovamente ricorrervi oggi è remota, per il semplice fatto che la Corte si è ripromessa di discutere finalmente il ricorso di dodici anni fa. Nel caso in cui la legge del 2010 venisse giudicata illegittima, verrebbe automaticamente bloccato anche il disegno di legge attualmente in discussione.
A voler ricorrere contro la nuova legge, una volta che il parlamento l’abbia approvata, sono i parlamentari di Vox. Anche in questo caso, comunque, una bocciatura sarà improbabile, nella misura in cui la Corte è composta da sette giudici progressisti e da soltanto cinque conservatori.