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Stasera è la notte di Hallowe’en (questa la grafia corretta). Cioè la vigilia della festività cristiana di tutti i santi. Dei santi, non dei morti. Ed è comunque bellissimo che la liturgia ‒ la storia per tempi forti, dove il canale fra terreno e ultraterreno è diretto ‒ inviti a operare, il 1° e il 2 novembre di ogni anno, una stretta relazione fra defunti e imitatori di Cristo.
Le eccezioni latine
Attraverso l’«All Hallowe’en» e l’«Allhallows’ Eve» di Cornovaglia, «Hallowe’en» rimanda all’inglese «All Hallows’ Eve», appunto, senza dubbio, la vigilia (eve ed e’en, da even, «sera») di Ognissanti: la festa di tutti gli uomini che stanno in Paradiso, categoria specifica e benemerita ‒ umanamente realizzata e compiuta ‒ di quei trapassati che la Chiesa ‒ le Chiese cristiane ‒ celebra il giorno successivo, invitando i fedeli a farne memoria e ad affidare alla misericordia di Dio tutti i cari, gli amici e i nemici, i compagni di viaggio, gli avi e gli antenati. Quella del Purgatorio è una grandissima “invenzione” (inventio) del cristianesimo: la speranza che non muore. E pregare per le anime del Purgatorio, per i defunti, è una delle pratiche più nobili che l’uomo possa intraprendere.
È così sin dall’antichità classica precristiana. A Roma, per esempio, dove si onoravano come numi tutelari della casa e della famiglia, come semi-divinità di origine umanissima, i Lares e i Penates. A Roma, la cui lingua, franca per eccellenza ‒ quella che diverrà la lingua ufficiale della Chiesa e dei dotti, l’esperanto sacrale ‒, declinava in maniera speciale deus e Iuppiter (derivante dalla radice dieu da cui il vocativo Diuspater, poi Diovis, quindi Iovis e Iuppiter). La lingua di Roma, che altrettanto farà con l’ebraico latinizzato Iesus. E sempre quella lingua di Roma, che pure contemplò eccezioni nel locativo (caso del complemento di stato in luogo, «luogo in cui si è»: essere, stare, esistere, e poi appartenenza, origine, proprietà) dei sostantivi domus e rus, casa e campagna (locativo domi e ruri), con il primo che vale anche «patria» e con il secondo che indica l’orizzonte della civiltà romana del repubblicanesimo classico opposto alla tirannide e alla decadenza, la Caput mundi delle virtù e della pietas.
Il «Giorno delle anime»
Il dì seguente «All Hallow’s Eve» è, nell’antica dizione, «Hallowmas» (Ognissanti), secondo il costume d’indicare la giornata in riferimento all’atto liturgico più sacro che in essa si celebra, Mass, la Messa. Come nella solennità di «Michaelmas» ‒ giorno della festa di san Michele arcangelo principe delle gloriosissime milizie celesti e vincitore di Satana, così ben rappresentato nel famosissimo quadro di Guido Reni che trionfa al centro della Cristianità nella basilica di San Pietro in Vaticano ‒ e – con una evidenza che solo chi non vuole vedere non vede – in «Christmas», il giorno della nascita di Cristo coincidente con la santa Messa in Cristo, con Cristo e per Cristo. A Ognissanti segue quindi l’«All Souls’ Day», preceduto dalla sua «Eve», la vigilia, ossia il Giorno dei morti, che la lingua inglese indica – raffinatamente – come il «Giorno delle anime»: quelle del Purgatorio, distinte da quelle sante, che già stanno in Paradiso.
Ora, se le giornate liturgicamente importanti vengono indicate con riferimento al sacrificio eucaristico di Cristo sull’altare, l’«Hallowe’en» spinge a sottolineare l’importanza delle vigilie – le veglie: estote parati –, che ricorrono addirittura nel nome tedesco del Natale, Weihnacht (Notte santa), e che hanno una grande tradizione, oltre che celtica e germanica, pure ebraica.
È così infatti per il «Sabbath», il sabatus che verrà assunto e sublimato nella Dominica cristiana, iniziante il venerdì pomeriggio. Per traslazione è lo stesso nel triduo pasquale cristiano, la cui ratio prima e ultima è la Domenica di Risurrezione, triduo che appunto inizia alle 15,00 del Venerdì Santo (in inglese «Good Friday» proprio per la splendida logica divinamente salvifica di quella ratio). Addirittura la santa Messa vespertina del sabato valevole per la domenica sembra sottolineare la piena continuità fra vigilia ed evento. Del resto l’elezione e la consacrazione del cavaliere cristiano iniziano con la veglia notturna la sera precedente, sul modello delle notti oranti dei monaci.
Compimento per imitazione
Nell’espressione «Hallowe’en», «santo» si dice hallow all’anglosassone (termine che significa pure «santuario» e, al plurale, «reliquie di santi») invece che saint alla latina (nell’inglese moderno esistono numerosi lemmi doppi per una medesima realtà, l’uno di derivazione teutonico-anglo-sassone, l’altro di origine latina e tale o – poco frequentemente ‒ per importo diretto della parziale conquista romana delle isole britanniche, oppure ‒ più spesso ‒ per derivazione franco-normanna, dalla battaglia di Hastings, 1066, in poi).
La dizione hallow resta ancora oggi nel verbo to hallow ‒ «santificare», «rendere santo», «beatificare», «consacrare», «venerare», «santificare (giorni festivi)» – e deriva da holy, cioè sanctus nell’inglese sassone. Viene dall’anglosassone (Old English) halig, il quale risale al norreno heill, cioè «buon auspicio», all’antico irlandese cél ‒ ovvero omen come «presagio» e «augurio» ‒ e probabilmente ancora all’anglosassone hal. Quest’ultimo è un’espressione antichissima che sta per «pieno», «intero», «sano»: vale a dire che la santità è la pienezza e la salute della persona, la completezza e la compiutezza dell’essere umano. Il suo compimento. L’imitazione di Cristo fino alla beatitudine che merita il Paradiso.
Nell’inglese moderno, hale significa del resto «robusto», «gagliardo» e «sano»: come una atleta, un atleta di Cristo. Per inciso, il prefisso inglese holo (italiano «olo») in parole quali per esempio «olocausto» deriva dall’identico greco desunto dalla forma holos, il quale a propria volta viene da olwos, derivante ancora dall’indeuropeo soluos. Quell’holo significa di nuovo «intero», «pieno». E dalla radice indoeuropea da cui esso proviene derivano anche il sanscrito sávas («intatto», «intero») e il latino saluus, da cui il latino medioevale salvus e l’inglese moderno safe.
L’inferno in una vocale
Hallow, «santo», differisce poi significativamente di una sola vocale da hollow, che significa «vuoto» «baratro» e «abisso»: cioè la spelonca oscura e terribile dell’hell, «inferno» in inglese (l’inglese moderno hole significa «buco», laddove hall è un’ampia sala che deve il proprio nome alla «Goldsmiths’ Hall», l’officina degli orafi, che nelle tradizioni nordiche sono nani avidi al lavoro nel buio di caverne recondite sedi di tesori, ma pure luoghi di morte e di desolazione, allorché la cupidigia nanesca risveglia dal letargo mostri e draghi; nani nordici analoghi al brutto, storpio e ctonio Sethlans-Efesto-Vulcano – vulcano –, che forgia i fulmini di Tina-Zeus-Giove in una grotta oscura). La dannazione, insomma, come svuotamento totale, come mancanza metafisica. L’esatto contrario della santità.
E quella semplice, semplicissima vocale di differenza cosa insegna? Insegna che pienezza e vuoto totale, santità e dannazione possono giocarsi in una frazione di tempo e di spazio. Tutto in una piccola vocale. Il crinale è strettissimo e facilissimo è passare al lato oscuro.
Realtà, limiti e purificazione
A me piace Hallowe’en. Mi piace perché parla di sacro, di legami fra Cielo e Terra, di aldiquà e di aldilà. Una paganata? Una tradizione cristiana che, come tutte le tradizioni cristiane, assume e sussume il meglio di ciò che l’ha preceduta, santificando il buono spirito di uomini religiosi del passato ante-cristiano, non anti-cristiano. Quante tradizioni, usanze e costumanze dell’era cristiana sono morfologicamente debitrici nei confronti di tradizioni sacrali precedenti. Se il dato teologico è chiaro là in sede teologica dove deve esserlo, nessuno si spaventa perché i contadini nei campi riveriscono la terra che li tiene in vita con fare un po’ sacrale. L’eresia è tutt’altra cosa: è una vera e articolata (anche se può essere dozzinale) contro-teologia. Esistono evidentemente dei limiti da non oltrepassare, ma sono limiti che vanno visti di volta in volta, a seconda dei tempi e delle occasioni. Non relativisticamente, ma con saggia ragion pratica. Cosa che la Chiesa fa da duemila anni. La purificazione è infatti un processo continuo.
Se c’è chiarezza là dove deve esserci, che oltre ai santi magi dell’Epifania ci sia altresì la Befana non mette paura, soprattutto per i bimbi e per le comunità umane “bambine”, cioè semplici, ingenue e pure sveglie (vigilanti, veglianti) di fronte al sacro, nonché weberianamente incantate dal mondo. Come diceva il buon J.R.R. Tolkien, il Vangelo è la storia più bella perché oltretutto è anche vera. È la storia che riassume tutte le storie nella Verità. È la fiaba delle fiabe. E santifica tutti: uomini, nani, elfi e draghi.
La zucca apotropaica
Ma il problema di Hallowe’en sono la mercificazione e la commercializzazione. E la sua importazione forzata in contesti, come quello latino-mediterraneo, con cui c’entra poco. Il problema di Hallowe’en è che è stata mutata in “vigilia di Mammona” invece che veglia dei santi. Non che Hallowe’en esista.
E dire che è un’”americanata” è un’altra stupidaggine: è di antichissima tradizione celto-anglosassone (frutto, cioè, della fusione delle tradizioni che si sono succedute nelle isole britanniche nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo) e vive in America Settentrionale, soprattutto nel Midwest “duro e puro”, perché lì sono emigrati, portandosi seco tutto il proprio bagaglio culturale, celti e anglosassoni.
Sì, ad Halloween ci si traveste. La tradizione lo fa per confondere gli spiriti cattivi e per burlarsi dei vivi. La zucca spettrale serve per spaventare le anime dannate dei trapassati che potrebbero ghermire i bimbi nell’ombra. Ha la medesima funzione di mostri e doccioni sulle facciate delle cattedrali gotiche medioevali. Quegli stessi che, con il nome di gargoyle, vengono riprodotti in miniature da casa e da giardino che gli americani collocano un po’ ovunque sul loro pezzetto di terra coltivata: per cacciar via gli spiriti malvagi. La medesima funzione apotropaica delle maschere grecizzanti del Sud italiano e di mille altre cose così.
La danza della vita
Tutto sommato, però, è la danse macabre delle chiese medioevali, a Pinzolo sotto la turistica Madonna di Campiglio o sul muro esterno dell’Oratorio dei disciplini di Clusone, in provincia di Bergamo, che spiega il senso autentico di Hallowe’en. Che è il senso della vita. Alla fine si finisce cioè tutti sotto un palmo di terra (e il Giorno dei morti ce lo ricorderà solennemente a brevissimo), tutti uguali, tutti nella medesima condizione, re, santi, imperatori, papi, guerrieri, contadini, mercanti, peccatori e ladri. Tutti uguali, eppure – visto che il comunismo è una fola anche nell’aldilà – chi con la mitra, chi con lo scettro, chi con la zappa: lì per fare i conti con il Padrone di casa, il Regolatore ultimo e primo. Tutte le volte che mi sento giù, perché si sparla di Hallowe’en o perché Marylin Manson ha inciso un nuovo brano, rivedo l’insuperato Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. L’anno prossimo m’intaglierò pure una bella zucca arancione. Caccia gli spiriti malvagi e la melanconia, che per la buona teologia è una tentazione di peccato e per i medioevali il soffio del diavolo.
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