A-Dio, caro Cesare Cavalleri

In una lettera ad «Avvenire» comunica di avere nove settimane di vita: così abbiamo la possibilità di salutarlo e di ringraziarlo come si deve

Cesare Cavalleri

Una immagine di Cesare Cavalleri che dice tutto, presa a prestito dagli amici della Fondazione Magna Carta

Caro Cesare, ti do del «tu» perché mi dicesti tu di farlo anni fa.

Una volta, prima dei cellulari, ai tempi delle segreterie telefoniche, mia nonna Bruna prese, in casa, una chiamata per me, ché ero fuori: «Ti ha cercato Cavalleri». Mi saltò il cuore in gola. Era un omonimo, anzi un’omonima. Questo per farti capire…

Non ci siamo mai frequentati tantissimo di persona, ma che importa. Studi cattolici è stata una delle testate su cui, pressoché imberbe (anche fisicamente…), cominciai, decenni fa, a cimentarmi con quel mistero grande e affascinante e sopraumano (sai bene di che parlo) che è la scrittura, non fosse perché ha sempre, comunque e nonostante tutto, attinenza con il Verbo.

Avevo già iniziato a scrivere qua e là, ma il tuo Studi cattolici, e poi Fogli, era un periodico serio, di quelli che, a scriverci a quella mia età, faceva tremare i polsi. Un periodico serio e austero, capace anche di sorriso e di guizzi, importante e documentale, insomma un piccolo, grande monumento. Ospitavi firme figurare fra le quali faceva vergognare (me); a leggerlo si imparava sempre (è una frase fatta, cioè è vera). Anche quando non si era d’accordo. Parlo al passato perché si tratta del mio passato, l’unica cosa che ognuno conosce davvero al mondo. Studi cattolici non ha mai abbassato però la guardia né perso mordente. Resta importantissimo, ma il passato, il mio passato, resta e ammaestra.

Eppure, credimi, non sto parlando affatto di me, bensì di te. Tu, Cesare, desti fiducia a un giovane verso cui pure potevi nutrire, e nutristi, qualche legittimo sospetto culturale. Ci siamo trovati a volte discordi, abbiamo lasciato pure che i nostri caratteri facessero a volte il proprio mestiere, senza giudicare se fosse sempre del tutto giusto. Ma io sono cresciuto, anche grazie a te.

Cresciuto, forse un poco pure maturato, e alla fine abbiamo visto (entrambi, permettimi) certe cose in modi anche diversi. Ci siamo trovati a scambiarci opinioni importanti, per esempio sugli Stati Uniti d’America, conoscendo e apprezzando tu il mio entusiasmo per essi. Certi Stati Uniti, ovvio. Non fosse altro perché sul tuo Studi cattolici scrivevano maestri indimenticati, grazie a te, ribadisco, come Mario Marcolla (1929-2003), e su tutti Russell Kirk (1918-1994), cui avevi dato intelligentemente spazio, come, in tempi per nulla sospetti, nessun altro.

Mi sono trovato poi in familiarità o colleganza con alcuni del tuo “giro”, a cominciare da mastro Eugenio Corti (1921-2014), che mi onorò sempre di una tenerezza di cui ancora chiedo scusa al Cielo per non essere all’altezza mai.

Ci siamo, tu e io, trovati a vivere avventure eliotiane indimenticabili, per esempio in una chiesa di Bergamo, arrampicati, attaccati, abbarbicati alla sua La Roccia, perché non c’è altro al mondo che tenga.

Ora, Cesare, combattente e gentiluomo, maestro di stile e di critica, tu ci saluti con una serenità e con un coraggio che pochi hanno anche se tutti dovrebbero. Non ci mancherai. Sarai infatti sempre con noi con tutto quanto hai fatto e hai lasciato di importante. Sarai sempre con noi là dove sarai, aiutandoci a combattere la buona battaglia. Sarai sempre con noi perché la vita eterna esiste, lo sai benissimo, lo hai insegnato senza riposarti mai, ed è un premio che, io non sono nessuno per dirlo ma te lo dico ugualmente, ti meriti. Sarai sempre con noi perché chi saprà guadagnarsi la vita eterna come hai fatto tu (resto sempre nessuno per dirlo ma te lo dico lo stesso) ti rivedrà nella pienezza e nella bellezza e nella bontà e nella luce che non hanno fine.

Di solito è facile scrivere cose come la presente, perché si scrivono dopo il trapasso, e, anche se crediamo nella vita eterna, la persona interessata non è più lì con noi e un po’ questo ci giustifica nell’essere retorici, forse ampollosi. Scrivere invece quando l’interessato è ancora fra noi, ma con il piede sull’uscio come ora ci stai dicendo coraggioso e sereno è strano, è difficile, è spero allora però anche e ancora più vero.

Dott. Cesare Cavalleri (non sono tornato indietro: è misura massima di rispetto estremo), vorrei scrivere di più, molto di più, tanto di più, ma in realtà tra poco tutto le sarà chiaro. Ora vorrei solo avere il coraggio che ha lei adesso e ardere sempre della serena speranza che lei ci sta ancora insegnando. A-Dio, Cesare.

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