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Un’enciclica che «affronta i problemi che toccano tutti noi e di fronte ai quali nessuno si può nascondere». Così l’allora cardinal Joseph Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, definì l’Evangelium vitae nel corso della conferenza stampa di presentazione. Era il 25 marzo 1995, giorno dell’Annunciazione, quando Papa san Giovanni Paolo II (1920-2011) pubblicò un testo destinato a scolpire su pietra la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale.
Importante fu il contributo nella stesura del porporato tedesco. Il quale, dieci anni esatti dopo, il 25 marzo 2005, Venerdì Santo, dovette guidare, visto il deteriorarsi dello stato di salute di Papa Wojtyla, le meditazioni della tradizionale Via Crucis al Colosseo. Fu un segno di quello che, pochi giorni dopo, sarebbe accaduto nel Conclave, con l’elezione di Ratzinger a Papa. E fu proprio in veste di successore di Pietro che Benedetto XVI, nel 2002, enunciando i celebri «princìpi non negoziabili», tracciò una linea di continuità magisteriale con il suo predecessore e con la Evangelium vitae.
La pena di morte
La riflessione di Ratzinger nel corso della conferenza stampa (disponibile nell’archivio digitale di Radio Radicale) sembra gettare le basi di un’altra enciclica che san Giovanni Paolo II avrebbe pubblicato tre anni più tardi, nel 1998, la Fides et Ratio. L’allora prefetto pontificio, infatti, spiega che il Quinto comandamento «Non uccidere» è posto «nel cuore della fede», ma anche «iscritto in ogni cuore umano». È «un grande sì», aggiunge, presupposto di «ogni libertà umana e ogni civilizzazione». Ratzinger affronta anche il tema della pena di morte, laddove precisa che il Quinto comandamento va difeso «contro l’ingiusto aggressore» che «calpesta la sacra inviolabilità dell’essere umano». Egli spiega dunque che «nella storia umana la pena di morte ha trovato la sua giustificazione a partire da questo concetto fondamentale», ma che già nel 1995 la Chiesa maturava «riserve» nei confronti dell’esecuzione capitale «ancora più forti di quelle presenti nel catechismo».
Aborto ed eutanasia
Sacra inviolabilità della vita umana che viene calpestata dall’aborto. «Nessuno può dubitare che il bambino non nato appartenga alla categoria degli innocenti», afferma il card. Ratzinger. «Ciò che viene messo in dubbio, semmai, è se considerarlo un essere umano nel pieno senso della parola». Secondo alcuni, riflette il porporato, «l’embrione iniziale possiede sì una individualità genetica ma non un’identità multicellulare e pertanto, nel senso ontogenetico, si potrebbe classificare l’embrione iniziale come pre-individuale». Ma Ratzinger ricorda che «ogni separazione tra individuo e persona è arbitraria, è un gioco tra filosofia e scienza biologica senza reale valore conoscitivo». Dialettica che viene risolta dall’enciclica Evangelium vitae nel passaggio in cui san Giovanni Paolo II rileva che «basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l’embrione umano».
Attuale venticinque anni fa e ancora più attuale oggi la questione dell’eutanasia. A tal proposito Ratzinger afferma che «lo sviluppo della medicina moderna minaccia di condurre a un’alternativa fatale», ossia sfruttare «tutte le possibilità tecniche per un allungamento della vita fino all’assurdo» o «decidere quando la vita non è più degna di essere vissuta» e, in questo secondo caso, «semplicemente la si spegne». Il cardinale osserva che «in entrambi i casi, l’uomo si fa signore della vita e della morte», oltrepassa così «il limite del Quinto comandamento che costituisce esattamente la demarcazione tra umanità e barbarie».
L’appello alla politica
Nel corso della conferenza stampa, Ratzinger tiene infine a sottolineare l’appello che san Giovanni Paolo II rivolge alla politica. Egli contesta l’idea secondo cui «l’ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza», perché «se la democrazia non incarna più dei valori, allora diventa un meccanismo vuoto di regolamentazione di interessi contrari dove spesso, se non sempre, vince il più forte». Dunque, continua Ratzinger, la vera democrazia «deve essere un’istituzione morale». Pertanto, «le leggi che contraddicono i valori morali centrali non sono giustizia, ma regolamento dell’ingiustizia» e «nei loro confronti non si è obbligati ad obbedire», bensì «si deve opporre loro l’obiezione di coscienza». Ratzinger annuncia l’importanza dell’Evangelium vitae «in un’ora in cui è necessario uno slancio per opporsi alla violenza e all’avvilimento dell’uomo». Quell’ora, venticinque anni dopo, è ancora presente.