Aborto razzista? Il mea culpa di un politico afroamericano

I neri vittime di 50 anni di politiche neomalthusiane che pure continuano per lo più ad appoggiaread appoggiare

Bambini afroamericani

Image from Pixabay

Si è sempre saputo, ma adesso se ne ha una conferma clamorosa e inquietante. Negli Stati Uniti d’America il 40% di tutti gli aborti da quando la sentenza al termine del caso Roe vs Wade, nel 1973, ha reso l’aborto non-illegale colopiscono donne afroamericane, per un totale, si stima, di circa 20 milioni. Una proporzione impressionante, se si pensa che i neri sono soltanto il 14% di tutta la popolazione statunitense.

Questi numeri hanno destato l’attenzione e la preoccupazione di Gary Franks, il primo Repubblicano nero eletto al Congresso federale nel dopoguerra (fu deputato del V Distretto del Connecticut dal 1991 al 1997). Al punto che Life Site News ne ospita un commento, pur concedendo che alcune valutazionio dell’uomo politico – precisa una nota redazionale – «non necessariamente coincidono» con quelle della testata.

Franks ricorda di avere «sostenuto la cosiddetta posizione pro-choice» durante i sei anni passati nel Congresso. Di quella politica ha oggi però «rimorso», implorando «il perdono di Dio». ma il punto nodale è: perché i citatdini statunitensi neri sono vittime dell’aborto più degli altri? Forse che fra i neri siano più frequenti gli incesti o il rischio per la vita delle donne, vista la consueta retorica sull’aborto come extrema ratio in codesti casi? No, secondo Franks le cause stanno decisamente altrove.

Da ex sostenitore della Planned Parenthood, l’ex deputato nero non ritiene che di per sé il colosso abortista abbia un’impostazione razzista o suprematista bianca. Tanto è vero che «la metà dei suoi presidenti provenivano da minoranze etniche». Eppure «tutti i membri del Congressional Black Caucus», il coordinamento parlamentare fra gli eletti di colore, «sostiene la Planned Parenthood», banché, osserva Franks, a suo tempo la fondatrice della Planned Parenthood, Margaret Sanger (1879-1966) parlì di di un «problema nero» negli stessi termini in cui ne parlavano i sostenitori dell’eugenetica, tanto da spinegre la stessa Planned Parenthood a verognarsi di lei.

La famiglia numerosa è “roba da bianchi”?

Dunque per Franks il problema ha due volti. Da un lato vi è l’alto tasso di mortalità infantile e di morti durante il parto tra gli afroamericani, per cui il mantra diventa quello dell’«assistenza sanitaria». L’altra faccia della medaglia è evidentemente quello dell’«incremento degli aborti» tra le donne afroamericane.

Il primo presidente statunitense ad autorizzare i fondi federali per la Planned Parenthood fu Richard Nixon (1913-1994) nel 1970. Come ricorda Franks, il finanziamento concesso dall’Amministrazione Nixon alla cosiddetta «pianificazione familiare» e, in particolare, alla contraccezione, ricevette ampio sostegno bipartisan dal Congresso. «A nessuna donna americana dovrebbe essere negato l’accesso all’assistenza per la pianificazione familiare a causa delle sue condizioni economiche», disse a suo tempo Nixon.

Ovvio, quindi, lascia intendere l’Franks, che se per decenni il concetto di «assistenza sanitaria» negli Stati Uniti è rimasto appiattito su questa impostazione neo-malthusiana, consolidatasi negli anni, è altamente probabile che, nella popolazione afroamericana, si possa essere radicata una convinzione: lo Stato aiuta soltanto a non avere figli, pertanto avere una famiglia numerosa è roba “da ricchi” e “da bianchi”. Ciò porta a una ulteriore considerazione sconcertante: le idee suprematiste della fondatrice della Planned Parenthood si sono insinuate in modo subdolo all’interno dell’organizzazione, arrivando a ingannare proprio coloro che sono le vittime prima di tale propaganda.

Appoggiando candidati Democratici e antinatalisti, gli afroamericani hanno cioè firmato in modo inconsapevole la condanna all’autodistruzione della propria minoranza etnica.

Exit mobile version