In tutta Italia, non solo a Napoli in San Gregorio Armeno, il presepe è una tradizione antica e fortunatamente ancora viva.
I milanesi più tradizionalisti l’hanno allestito il giorno dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre, ma anche gli altri, chi prima e chi dopo quella data, estraggono gli scatoloni da ripostigli o garage e creano nelle case il paesaggio di una Betlemme da cartolina, fra cieli stellati di carta lucida, bambagia o farina a simulare la neve, statuine preziose acquistate nei negozi vintage oppure recuperate dai lavoretti scolastici di quando i figli erano piccoli, più preziose ancora.
Non mancano i veri cultori, con gruppi Facebook da iniziati, che al presepe lavorano tutto l’anno, pezzo per pezzo, e realizzano capolavori di precisione e miniatura, talvolta esposti in piccole mostre promosse (beneritamente) dalla pro loco quando varrebbero invece il posto in un museo.
Non mancano spesso neppure le polemiche, per via di presepi un poco eccentrici o hippy chic, ethno-style o postmoderni, ambientati nello spazio, al mare, in gelateria.
E non mancano infine vere e proprie battaglie, presepe sì presepe no, a scuola sì oppure no, e nell’atrio del condominio? Nel mio, per fortuna, una signora gentile lo allestisce, puntualmente, il 13 dicembre, giorno di santa Lucia, completo di lucine e stella cometa argentata.
Così come la qualità, anche la quantità di statuine presenti nel presepe è la più varia. Dalla Natività più minimalista, la sola Sacra Famiglia riunita attorno al fulcro della mangiatoia, sino a comprendere caratteri e personaggi simbolici o allegorici che molti neppure saprebbero riconoscere: angeli, pastori, centurioni, bambini e popolane, animali da cortile e dromedari, Benino e Ciccibacco, l’oste, la prostituta, la guardiana delle oche e il suonatore di flauto…
Se le raffigurazioni più antiche della nascita di Gesù nella notte di Betlemme risalgono ai bassorilievi presenti già sui sarcofagi del IV secolo, moltiplicatesi in seguito per tutto il Medioevo e giunte sino a noi, è a san Francesco d’Assisi che la tradizione attribuisce la nascita del presepe vero e proprio. Più precisamente, a Greccio e alla notte di Natale del 1223, quando il santo poverello celebrò la Messa nel paesino laziale che un aiutante, il buon Giovanni, aveva allestito proprio come il villaggio che aveva visto la nascita del Signore.
È particolarmente interessante una lettura del significato e del valore del presepe letta di recente in un libretto ricco di informazioni sui simboli legati ai pezzi che lo compongono, dalla mangiatoia alla cometa ai numerosi personaggi che lo abitano. L’autrice accosta arditamente il presepe e il suo allestimento al Seder pasquale, la celebrazione ebraica della Pasqua, quando «[…] dopo che i commensali hanno riempito la seconda coppa di vino, il più piccolo della famiglia pone le domande rituali (Ma nishtanà), che interrogano sul senso dei diversi cibi presenti sulla tavola apparecchiata in modo così speciale». E aggiunge che «questo momento rituale si comprende solo se si ha il senso della traditio, della trasmissione di generazione in generazione del significato di gesti, alimenti, simboli».
Se è vero infatti che il presepe natalizio non è un rituale liturgico quale invece è il Seder per la religione ebraica, non è neppure un diorama per appassionati o un esercizio di stile per signore annoiate. È tradizione appunto nel senso etimologico del termine, dal latino traditio -onis e cioè consegna, passaggio, da genitori a figli, da nonni a nipoti, nel cuore e nel calore della famiglia del senso vero, pienamente e compiutamente religioso del Natale. Che no, non è la festa dell’inverno, ma celebra precisamente la nascita di Cristo.
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