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Memoria scritta circa i disegni di legge n. 2005 (Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità) e 2205 (Modifiche al codice penale in materia di circostanze aggravanti nei casi di violenza commessa in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, età e disabilità della persona offesa) pronunciata nell’Audizione informale tenuta nella Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il 18 febbraio 2020
Al fine di porre le basi per una riflessione sull’oggetto autentico della presente proposta di legge, credo sia opportuno partire da una lettura dell’attualità. Il clima teso venutosi a creare solamente nell’auspicio di un confronto, quindi, di fatto, nell’anticamera del cambiamento che il disegno di legge vorrebbe apportare sul fronte penale, offre abbondantemente una proiezione futura di ciò che la società è diventata oramai da diversi anni e di ciò che sarà: una comunità drammaticamente spaccata al suo interno, dove dialogo e tolleranza vengono recisi alle radici, promossi con una mano e smentiti con l’altra.
Per molti aspetti, purtroppo, non rappresenta una novità per l’epoca attuale, scenario che, in svariate occasioni, ha ospitato le controverse conseguenze dovute ad accuse di omotransfobia rivolte a profili di varia tradizione filosofico-culturale e religiosa, orientamento sessuale, appartenenza politica, ambiente professionale i quali civilmente e democraticamente esprimevano contrarietà nei confronti di determinate scelte private, modelli etici e antropologici, stili di vita adottati da taluni o presenti nel panorama culturale. Allo stesso modo, oggigiorno, vige un esplicito timore di esercizio e manifestazione del pensiero critico: quel pensiero che, non sottraendosi alla dialettica, al confronto, sa trarre alimento da esso producendo, a tutti gli effetti, una crescita nel dialogo.
Detto altrimenti, il buon uso legittimo del diritto a rispettoso dissenso è una libertà di cui buona parte della società civile oggi tende a privarsi, preoccupata dallo stigma sociale assieme alle connesse ripercussioni nella vita professionale, privata, comunitaria. Inevitabile conseguenza di tale condizione di angoscia è l’autocensura di qualsivoglia estrinsecazione di opinioni, pensieri, credenze, convinzioni morali, ricerche accademiche onde evitare l’esposizione allo stigma omofobico (ciò accade, magari con minore impatto, per qualsiasi fronte interessato dal political correctness) che proprio per la grande indeterminatezza che ne caratterizza l’oggetto potrebbe potenzialmente essere associato a chiunque e per qualsiasi cosa.
Ciò non solo rende ciascuno inabile a comprendere la natura dell’accusa omotransfobica, bensì comporta una censura preventiva, interiore ed esteriore, al fine di scongiurare ogni potenziale pericolo. Se, come l’esperienza dimostra, la crescita umana proviene dalla dualità del dialogo, ovvero l’essere occasione di scambio tra due identità distinte, è evidente che il clima evidenziato non sostiene al fine di una crescita, ma si presta piuttosto al monologo, all’esclusività di pensiero, facendo regredire il dovere comune di cooperare verso una valorizzazione della differenza.
A ciò si addice il concetto di “discriminazione” intesa nel suo significato letterale di “separazione”: porre a distinguo ciò che è oggettivamente un bene e ciò che è oggettivamente un male; compiere un atto intellettuale di discernimento circa la legittimità o meno dell’oggetto al centro del distinguo. Privare chicchessia di questa facoltà implica, come diretta conseguenza, un processo forzato di omologazione e normalizzazione dove il prestigio valoriale della differenza, sulla quale giace la peculiarità propria di ciascun uomo nella sua unicità, giunge ad essere intenzionalmente annullato con ripercussioni negative anche sul principio di accoglienza. Si tende ad appiattire neutralmente, infatti, ciò che, esistendo nei suoi tratti originari, risulta inaccettabile.
È evidente che questo meccanismo minaccia l’obiettivo globale di una “human fluorishing”, la quale avviene nella possibilità stessa del confronto nel binomio inscindibile tra libertà e responsabilità sul quale si orientano l’intersoggettività e la convivenza civile.
Viceversa, appare evidente il fraintendimento tra discriminare nel senso di costituire un’ingiustizia fondata sulla negazione dell’uguaglianza sostanziale e discriminare nel senso di distinguere, ovvero agire facendosi carico delle esigenze che alcuni possono avere rispetto ad altri determinate dalla loro differenza, parimenti degna e sacra nell’umanità incarnata dai singoli soggetti.