Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:27 am
Jo (Saorise Ronan) è bionda. Il senso di tradimento insorge, per… quanto? Un minuto? Un minuto e mezzo al massimo. Poi chi ci pensa più ai capelli di Jo? Giusto quando se li taglia, ma solo per cercare nella borsa un altro pacchetto di kleenex. Fin dal primo fotogramma la tensione emotiva cresce, piano piano, da un leggero languore di nostalgia al fiume di lacrime, esplicito, senza imbarazzo, tanto il fruscio dei fazzoletti è l’unico suono che serpeggia per la sala. Meg (Emma Watson), archiviati incantesimi e bacchette, usa la scopa per spazzare i pavimenti come è giusto che sia. Papà March (Bob Odenkirk) pare invece nascondere nel taschino sigarette e cellulare. Ma, “come nel libro” compare poco e parla anche meno, la confusione è minima. Laurie, Teddy (Timothée Chalamet), è perfetto: ha il fisico del «nongio», si muove come Fedez; calzasse Nike e un cappellino Supreme, non stonerebbe. Un’adolescente qualsiasi che non ha letto il libro lo inquadra in pochi secondi. Senza nessun pudore: Laurie è uno sciocco superficiale, tutte si innamorano di lui. Alcune, però, guardano oltre, come Jo.
La prozia March (Meryl Streep) campeggia, come potrebbe fare altrimenti? «Io non sempre ho ragione. Però, non ho mai torto». E chi ha mai osato pensare il contrario, Mrs. Streep? D’altra parte non è del tutto immotivato il disappunto per lo stile di vita di mamma March (Laura Dern), qui un po’ troppo figlia dei fiori. Al trascendentalismo della famiglia c’è poco più che un riferimento, un’immagine incantevole, efficacissima, del mattino di Natale: le donne March sfilano verso la casa degli Hummel, i più poveri tra i poveri, per regalare loro la colazione. L’intero paese, sullo sfondo, si affretta ad entrare in Chiesa per il rito religioso. Un istante, geniale.
In tutto ciò Jo è una giovane donna, che tra una lacrima e una macchia di inchiostro fa quel che ci si aspetta da lei: diventa adulta. E potrà anche fingere che l’abbia voluto l’editore, che «il matrimonio è una questione economica, anche nei libri», ma Jo, alla fine, si sposa. E non è una questione economica: il professor Bhaer (Louis Garrel) è precisamente l’anti-Teddy, non si può che baciarlo sotto a un ombrello e vivere per sempre felici e contenti. Non è una questione economica nemmeno per Amy (Florence Pugh), lei sì che può sposare un Laurie. Lei se li farebbe, come la Ferragni, i selfie in ascensore: sa benissimo come gestire un marito bambino e i suoi giocattoli. Ancora, non è una questione economica nemmeno per Meg, anche se il denaro pesa soprattutto quando non c’è. Imparerà a guardare le vetrine dei negozi come musei di arte contemporanea, ringraziando in cuor proprio per il sorriso dei gemelli e per John Brooke (James Norton), un marito che non ha paura di cambiare i pannolini. Sogni diversi, non per questo meno grandi.
L’unica vera “femminista”, quella per cui il matrimonio è proprio solo una questione economica, è la prozia March. Ma lei i soldi già ce li ha, poveretta, e infatti vive sola, in una grande casa vuota. E Beth (Eliza Scanlen)? Sullo sfondo, sempre, quasi trasparente. Eppure, è racchiuso in lei il significato del racconto, e lo sa bene il vecchio signor Laurence (Chris Cooper): a cosa vale ogni cosa senza la musica? E a che vale la vita, se non per essere data? Senza il sacrificio di Beth, senza la sua fragilità, Jo avrebbe smesso di scrivere i racconti per scrivere niente del tutto. Senza una Beth a cui dedicarle, nessun avrebbe saputo un bel niente delle vicende di queste Piccole donne 2019, tratto dal celeberrimo romanzo della scrittrice statunitense Louise May Alcott (1832-1888). E allora, sarebbe come se non fossero esistite nemmeno. La vita più fragile, lungi da non esser degna di essere vissuta, dischiude il significato di tutte le altre vite.
Lontanissimo dal “proclama femminista” che sembrava dovesse rappresentare, la riproposizione cinematografica di Greta Gerwig del capolavoro della Alcott, candidato a una valanga di premi, riesce a mantenere tutto il sapore di una storia antica che ha qualcosa da dire a chi la incontra oggi. Ci sono – come potrebbero mancare negli anni di MeToo? – riferimenti alla “questione femminista” e per un breve, interminabile istante, persino l’orrore dell’ipotesi che alla fine Jo e il professore non convolino a giuste nozze. Ma sono forse proprio questi accenni, doveroso inchino hollywoodiano al mainstream, a far risaltare con più forza l’evidenza del vero: Piccole donne è la storia di una famiglia. E la famiglia genera: genera vita, genera bellezza, genera cura, genera una passione che trasforma un vecchio edificio vuoto in una scuola. E soprattutto genera altre famiglie, come la meravigliosa immagine corale che chiude il film mostra senza bisogno di aggiungere parole.
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