«Nostradomus». Le ciliegie

La bellezza della famiglia attraverso storie, apologhi, aneddoti e spunti raccolti oggi per seminare un domani migliore

Tiziano Vecellio, La Madonna delle ciliegie (1516-1518), particolare

Tralasciando quelle che compaiono come gioielli nelle boutique dei fruttivendoli del centro nel periodo natalizio, le ciliegie sono un frutto tipicamente estivo, che si affaccia sui banconi dei mercati in maggio ed esplode di rosso e di lucentezza nel mese di giugno.

Lo scrittore e naturalista latino Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) racconta nella Naturalis Historia che i primi alberi di ciliegio giunsero a Roma nel I secolo avanti Cristo grazie al comandante Lucio Licinio Lucullo (117-56 a.C.), noto fra l’altro per la raffinatezza dei banchetti che offriva all’aristocrazia romana, che dalla città di Cerasunte, in Cappadocia, portò le pianticelle nella Capitale dopo la vittoria ottenuta sul re del Ponto, Mitridate (135-63 a.C.).

Frutto succoso e gustoso, ricco di vitamine A e C, di minerali e di sostanze anti-ossidanti, la ciliegia nell’iconografia cristiana simboleggia il frutto del Paradiso e grazie al colore rosso intenso richiama al sangue di Gesù sparso durante la Passione. Per questo motivo, nella storia dell’arte alcune ciliegie possono comparire sulla tavola dell’Ultima Cena oppure della Cena in Emmaus.

Nella storia dell’arte italiana, in particolare, naturalmente di ispirazione cristiana e cattolica, le ciliegie ricorrono associate alla figura della Madonna. Per esempio, nel dipinto Riposo durante la fuga in Egitto, detto anche La Madonna delle ciliegie, realizzato fra il 1570 e il 1573 da Federico Fiori, detto Federico Barocci (1535 ca.-1612), san Giuseppe porge al Bambino un rametto con alcune ciliegie. Vi è un altro dipinto di epoca appena precedente, più famoso, un’altra Madonna delle ciliegie dipinta da Tiziano Vecellio (1488 ca.-1576) fra il 1516 e il 1518, in cui è il Bambino a offrire alla Madre alcune ciliegie.

Oltre alla prefigurazione del sangue del Redentore, l’ispirazione per tali dipinti risiederebbe in una narrazione derivata dai Vangeli Apocrifi, quell’insieme eterogeneo di testi a carattere religioso e letterario, redatti nell’ambito delle prime comunità cristiane, che raccontano la vicenda di Gesù sulla terra ma sono stati esclusi per varie ragioni dal canone biblico. In uno di tali testi si narra di come Maria, in dolce attesa del Cristo, avesse desiderio di gustare un ciliegia, ma non riuscisse ad arrivare al ramo dell’albero su cui erano i primi frutti, troppo in alto per Lei. Giunse in quel momento Giuseppe, ancora all’oscuro della gravidanza della Vergine, cui Ella chiese di prenderle qualche frutto, che desiderava mangiare proprio perché, svelò in quell’istante, attendeva il Bambino. Giuseppe, offeso, se ne andò, ma ritornò presto sui suoi passi, dopo aver compreso anche grazie all’Angelo sopravvenuto in sogno che la sua futura sposa non mentiva, davvero lo Spirito Santo era sceso su di Lei.

La ciliegia è anche l’attributo tradizionale, attribuito dalla devozione popolare, di san Gerardo Tintore (1134-1207), patrono della città di Monza, in Lombardia, noto appunto come «il santo delle ciliegie». Secondo la leggenda, una sera di inverno egli si recò nel Duomo cittadino per recitare le preghiere, con l’intenzione di restarvi tutta la notte. Per convincere i chierici a lasciarlo rimanere, il Santo promise che il giorno successivo, nonostante la stagione del tutto inadatta, avrebbe donato loro un cestino di ciliegie. I custodi acconsentirono e il giorno successivo san Gerardo si presentò con il dono promesso.

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