L’Italia è, si sa, straordinariamente ricca di racconti della tradizione legati a luoghi o usanze, le cui origini affondano indietro nel tempo e che mantengono intatto il fascino della leggenda, anche nel significato etimologico di «qualcosa che debba essere letto», ricchezza e humus della cultura popolare profonda.
Fra le tante leggende popolari lombarde, per esempio, vi è quella che riguarda il numero dei leoni che proteggono la Cattedrale di Cremona, dedicata a Santa Maria Assunta, uno dei maggiori monumenti romanici della Lombardia che compone, insieme al Torrazzo, al Battistero e al Palazzo del Comune, uno degli insiemi d’architettura medioevale più importanti d’Italia. La facciata del Duomo, inoltre, presenta due ordini di loggette, un rosone ed un protiro risalenti al periodo gotico e un coronamento che, insieme al portico, risale al XVI secolo.
I leoni stilofori presenti fra le sculture, e che reggono cioè le colonne, sono sei: due a sostegno del protiro, cioè il breve corridoio che conduce dai gradoni all’ingresso principale, uno dei quali trattiene fra le zampe un drago, simbolo del male; due al protiro del portale settentrionale del transetto, fra le navate e l’abside; due a quello del battistero. Altri quattro, però, più piccoli, sorreggono le colonnine della loggia sopra il protiro.
I leoni diventano undici se si aggiunge la fiera alata posta sul capitello destro del portale, simbolo di San Marco. Anzi, sono tredici poiché un altro è posto sul capitello vegetale ai piedi della facciata e l’ultimo è scolpito sotto i cavalli, usati per la trebbiatura del grano, che simboleggiano il luglio nel ciclo della rappresentazione dei Mesi.
Come se non bastasse, c’è chi sostiene che ve ne sia ancora uno. Secondo un’antica leggenda, infatti, nelle fondamenta del Torrazzo, la torre campanaria simbolo della città edificata accanto al Duomo, sarebbe sepolto il quattordicesimo leone: un leone vero, non di pietra.
L’origine di tale credenza è riportata da Jacopo da Acqui (?-1334), religioso domenicano autore del Chronicon imaginis mundi, nel quale l’autore raccolse leggende carolingie francesi e italiane.
Secondo la sua narrazione, dopo che il re longobardo Agilulfo (560-616) distrusse Cremona, nel 603, a causa della fedeltà dimostrata all’Impero Romano d’Oriente, la città rimase disabitata per molto tempo.
Un giorno, vicino alle rovine della città, si accampò un misterioso principe gallico con il proprio esercito. Dopo poco tempo, si avvicinò zoppicando un leone che gli mostrò la zampa, sanguinante a causa di una spina. Il principe non si fece spaventare dalla fiera, anzi curò la zampa del leone, che subito sparì per poi tornare portandogli in dono tra le fauci un capriolo.
Quando il mattino successivo il principe ripartì, il leone lo seguì nel suo cammino fino a Roma e rimase con lui, come animale domestico. Sulla strada del ritorno, però, il leone morì. Il principe tornò allora a Cremona, per riedificare la città, e come prima cosa pose le ossa del leone nelle fondamenta del Torrazzo: «[…] et in fundamento muri ubi est torratium ossa leonis primo posuit».
A ricordo di questo gesto, in cima al Torrazzo figurò per molto tempo un leone di bronzo con la zampa alzata, che simboleggiava quello della leggenda nell’atto di sollevare verso il principe la zampa ferita. Dal metallo di questo leone, secondo quanto riportato negli Annales dello storico cremonese Domenico Bordigallo (1449-1527), dopo qualche secolo fu fabbricata una grande campana.
Gli scavi archeologici hanno escluso la presenza di resti ossei, specie leonini, nelle fondamenta del Torrazzo, e gli studiosi di storia medioevale hanno avanzato numerose ipotesi che però non hanno portato a una interpretazione sicura della leggenda, tanto più che anche la figura del principe gallico è piuttosto oscura.
La presenza di tanti leoni a protezione del complesso monumentale cremonese potrebbe più facilmente essere legata alla figura dell’imperatore del Sacro Romano Impero Federico II Hohenstaufen (1194-1250), della casa di Svevia, figlio di Enrico VI (1165-1197) e nipote del Barbarossa (1122-1190), il quale elesse Cremona capitale del Nord Italia pro tempore, nonché propria corte, tra 1220 e il 1250 (quindi prima del 1284, data condivisa da storici e archeologi per la fondazione del Torrazzo), quando la città era tra le più potenti della Pianura Padana e lo aveva accolto salvandogli la vita. Lo stemma degli Hohenstaufen era originariamente «d’oro ai tre leoni neri passanti disposti in palo».
Cosa potrebbero rappresentare, in ogni caso, i leoni del Duomo di Cremona? «In generale, l’iconografia leonina nell’arte è assai antica e vi si sommarono e si stratificarono significati diversi e contributi di culture tra loro differenti e lontane (tanto da non poter essere ridotto entro schemi interpretativi rigidi): dai leoni “solari” posti come custodi sulla soglia degli antichi templi egizi, sino ai leoni funerari dell’arte romana (sia custodi che divoratori di vita). E ancora nell’arte paleocristiana (e successivamente romanica) il leone (simbolo complesso di forza, coraggio e giustizia) è anche un “custode” con evidente funzione apotropaica ed assume un aspetto terribile per dissuadere le potenze del male e per esprimere il tremendum che è nel sacro. Con questo significato (e non come lasciti del dominio veneziano, come invece ancora raccontano certe guide turistiche disinformate) numerosi leoni marmorei troneggiano in molte basiliche, palazzi e chiese romaniche della Pianura Padana e dell’Italia meridionale, inclusa Cremona: dove al cospetto imponente della Cattedrale, con i suoi tredici leoni (o forse quattordici, con quello che forse ancora riposa sotto la torre) a guardia delle porte e del Torrazzo, il male era ammonito a non varcare la soglia di quel monumentale luogo sacro e del campanile che vi sta a sentinella. Quasi a dire, nel senso cristiano del motto, hic sunt leones».
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