Last updated on Novembre 28th, 2021 at 11:37 am
Sarà perbenismo, moralismo, conformismo, un “ismo” qualsiasi a vostra scelta, che volete che vi dica? Leggere, copio e incollo, «fuck patr**rcato» sul pancino di una bambina mi fa schifo. Di scriverlo, neanche a parlarne.
Abbiamo evidentemente “sensibilità” diverse, sua madre e io, se il profilo Instagram di una celebrity italiana di respiro internazionale invece riporta e ahimè diffonde ben otto scatti di questa bambina bellissima, il classico bebè da campagna pubblicitaria, impeccabilmente vestita e con tanto di vezzosa mollettina rosa tra i fili sottili dei capelli biondi, occhi celesti sgranati con espressione invero un poco perplessa. Vorrei vedere voi, se indossaste una camicina deliziosa con un colletto in pizzo che avrei adorato io stessa negli anni 1970, su cui è scritto, papale papale, «fotti il patriarcato».
Che la sua mamma lo pensi, mi importa poco. Del resto pure io in certi casi preferirei tenere stretti i cordoni della borsa e le redini della famiglia. Che la figlia men che unenne sia costretta a fare da cassa di risonanza mediatica allo pseudo-pensiero materno invece mi stupisce, viste e considerate le accuse che piovono spesso su coloro che, orridi mostri violenti, osano imporre ai propri figli un minimo di educazione e di rispetto del principio di realtà. Per non parlare dei bigotti tradizionalisti oscurantisti che decidano di far battezzare un bambino o una bambina: non sia mai, crescerà e deciderà da sé, ci mancherebbe.
Questa bambina no, non decide da sé ed è già definita da mammina «my baby feminist». Metti che la pensasse diversamente, una volta divenuta adulta, che si fa?
È pensiero che mi preoccupa, vi assicuro. Auguro alla mamma, ma certamente da lei in questo si ha tutto da imparare, che abbia accantonato fondi sufficienti per risarcire la piccola, una volta cresciuta, dei danni subiti. Perché magari la giovane la penserà proprio così come è stata educata, fotterà il patriarcato e pure il matriarcato e vorrà che le siano pagati fior di quattrini perché, sì, è vero che è femminista della più pura schiatta, ma come si sono permessi di farglielo dire senza prima chiedere il suo consenso?
Piccola nota finale, per lo spirito di appassionata della traduzione che alberga in me ormai da qualche anno: un amico che bazzica e ha bazzicato gli Stati Uniti d’America in lungo e in largo mi informa che la «F word» (fuck, insomma, ci siamo capiti) è di fatto considerata – se non nei bassifondi umani più infimi, Hollywood a parte – impronunciabile: non solo maleducata, non solo triviale, ma addirittura bestiale, indegna.
E questo faccino d’angelo ce l’ha stampata sul pancino. Va ancora bene che non gliel’abbiano tatuata.
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