No, il “caso Cuties” non è finito nel dimenticatoio, inghiottito dal tran-tran quotidiano. Piuttosto è finito in tribunale. Netflix è finita in tribunale.
Lo ha annunciato Matt Schaefer, membro della Camera dei deputati dello Stato del Texas. Il Grand jury del Texas ha infatti dato responso positivo: si può fare causa alla major della tv on demand.
Nei Paesi di Common Law, come gli Stati Uniti d’America, al Grand Jury («gran giurì») spetta il compito preliminare di stabilire se le prove raccolte su un determinato caso siano sufficienti per dare inizio a un procedimento penale. Ebbene, la magistratura competente del Texas ha appurato che le evidenze sono sufficienti per perseguire Netflix – punta di diamante di quell’universo liberal che sostiene e foraggia la candidatura presidenziale di Joe Biden contro la vita e contro la famiglia – per «esibizione oscena» di minorenni in modi che «solleticano pruriginosi interessi di natura sessuale» attraverso Cuties. Insomma, non esattamente per avere rubato una caramella.
La battaglia scatenata anche da “iFamNews” contro Cuties non solo sta cioè dando risultati, ma soprattutto non è affatto quella boutade da Capitan Fracassa di cui molti ci hanno subito accusato. Per questo la battaglia della nostra petizione contro Netflix continua.
Ora, la censura non è mai una bella cosa, e quando si fa critica d’arte chiamando il 113 la puzza di bruciato si sente subito. Ma il “caso Cuties” è di tutt’altra pasta. Qui ci sono di mezzo dei minorenni. Qui il tema è la pedofilia. Cosa direbbero dunque ai tribunali quelli che in Cuties vedono, sic, valori educativi?
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