Last updated on Luglio 8th, 2021 at 05:56 am
È diffusa un’idea ecologista secondo cui la difesa dell’ambiente è inversamente proporzionale all’attività umana. Più l’uomo si afferma, cioè, più la natura si avvilirebbe; quindi più l’uomo si eclissa, più la natura godrebbe di buona salute. Secondo i fautori di questa ipotesi, per difendere l’ambiente è allora necessario puntare sulla «decrescita felice», un concetto introdotto nel 2001 dall’economista e filosofo francese Serge Latouche che considera la crescita delle produzioni e dei consumi un segnale di malessere. Al contrario, il libro più recente del top manager Chicco Testa offre un «Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico» (Marsilio, Roma 2021). Segretario nazionale e presidente di Legambiente negli anni 80, ex presidente di Enel, Testa ha parlato con «iFamNews» di questo suo nuovo lavoro e di altri temi ambientali di stretta attualità.
Dott. Testa, dunque si può tutelare l’ambiente perseguendo la crescita…
Ormai da tempo è acquisito che le politiche ambientali ben impostate siano un fattore di crescita economica e di innovazione per i Paesi che le perseguono. Non a caso, nel mondo i Paesi più evoluti sul versante green sono i Paesi più ricchi. Il problema da affrontare a scala globale è come accompagnare i Paesi più poveri nei percorsi di sostenibilità senza aumentare la disuguaglianza. La transizione ecologica ed energetica sarà un potente driver di innovazione, di creazione di valore aggiunto, di occupazione qualificata e di crescita sostenibile. Ma avrà dei costi e i policy maker dovranno fare molta attenzione a come distribuirli in modo equo, nel tempo e nello spazio.
Ha fiducia negli obiettivi green inseriti nel «Recovery Plan»?
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) è uno strumento di breve periodo, che però può e deve rappresentare l’innesco di processi di cambiamento di medio lungo. Questa l’intenzione dell’Europa e del nostro governo. Il «Recovery Plan» contiene obiettivi ambientali ambiziosi, raggiungibili soltanto con un scelte forti e coraggiose di semplificazione e sburocratizzazione delle procedure autorizzative e di appalto. Al tempo stesso dovrà essere garantita una governance operativa agile, veloce ed efficace. Cinque o sei anni non sono molti in un Paese abituato a metterci dieci anni per completare un’opera, come ci ricorda la Corte dei Conti.
Un’idea diffusa è che gran parte dell’inquinamento atmosferico sia da attribuire ai Paesi occidentali. È davvero così?
Bisogna intendersi. La Cina è il primo Paese al mondo per emissioni globali, seguito da Stati Uniti d’America, Europa, India, Russia e Giappone. Seguono Indonesia, Iran, Messico, Arabia Saudita e Sudafrica, ma con quote di emissione per adesso molto basse sul totale mondiale. I Paesi in via di sviluppo sono però attivi nella lotta ai cambiamenti climatici: più dell’80% di essi ha intenzione di aumentare l’ambizione di mitigazione e il 97% prevede di aumentare l’ambizione di adattamento. Il Bhutan e il Suriname sono i primi Paesi al mondo ad avere raggiunto i propri obiettivi di zero netto e a diventare negativi in termini di emissioni. Tuttavia i Paesi più poveri rischiano di pagare un prezzo alto in rapporto al loro reddito nel perseguire gli obiettivi di transizione, se non si prevede un’azione globale equa.
Crede che l’attuale pandemia di CoViD-19 sia stata causata dall’inquinamento, come molti ritengono?
Non esiste alcuna evidenza scientifica confermata da enti autorevoli a sostegno di questa tesi. Il complottismo sembra non avere limiti.
È stato suggerito a più riprese di prepararci alla cosiddetta “era delle pandemie”. Di cosa si tratta e quanto inciderà sull’ambiente?
La natura, cioè gli ecosistemi e la biodiversità, è fatta fortunatamente anche di virus e di batteri. L’uomo è riuscito con le tecnologie mediche e biomediche (antibiotici, antivirali, vaccini) a contrastare gli effetti negativi di virus e batteri garantendo negli ultimi due secoli una migliore qualità della vita e l’allungamento della aspettativa di vita. È possibile che il continuo adattamento dei microorganismi alle nostre tecnologie e il fenomeno della globalizzazione producano un intensificarsi delle crisi pandemiche come quella del CoViD-19. Non a caso al G7 si è parlato di strategie comuni per gestire al meglio eventuali future crisi e per accorciare i tempi di produzione di nuovi vaccini, anche grazie a stanziamenti importanti e condivisi nella ricerca. È un confronto continuo fra gli aspetti pericolosi della “natura” e la capacità umana di innovare, ma sarei ottimista in linea generale.
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