Last updated on Maggio 30th, 2021 at 06:08 am
Sempre più indizi danno ormai una conferma. Facebook non è una piattaforma neutra, in cui trovino spazio tutte le opinioni, bensì una gigantesca multinazionale che risponde a un preciso orientamento politico-culturale. In forza di questo status, il popolare social network sceglie di censurare certi contenuti e, al contrario, di promuoverne e di incoraggiarne altri.
È noto, in primo luogo, l’allineamento dell’azienda di Mark Zuckerberg con il “covidamente-corretto” dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Ora, le rimozioni dei post negazionisti che fanno danno va bene, ma già adesso anche quelli solo critici della vulgata corrente vengono implacabilmente colpiti. Ebbene, Facebook però non si accontenta e raddoppia la posta, donando 120 milioni di dollari alle organizzazioni umanitarie attraverso la sponsorizzazione di post contenenti «informazioni corrette» sulla pandemia. Al tempo stesso, sempre in collaborazione con l’OMS, espande «[…] la lista di affermazioni false che rimuoveremo per includere quelle su CoViD e vaccini». Ma chi decide, come un oracolo divino, cosa sia vero e cosa sia falso nel mondo della post-verità eretto a fiore all’occhiello? Memorabile, del resto, il duello che nell’aprile 2018 oppose Zuckerberg al senatore statunitense Ted Cruz, ma soprattutto ciò che ne saltò fuori.
Lo stesso rigore e lo stesso scrupolo non vengono infatti osservati per la tutela dei minori. Facebook, infatti, consente alle aziende di fare pubblicità a ragazzi di tredici anni che manifestino interesse per fumo, tecniche di perdita del peso e gioco d’azzardo al prezzo di soli tre dollari statunitensi. A scoprirlo è stata l’organizzazione Reset Australia, che ha compiuto un esperimento ad hoc. Dopo avere creato una pagina e un account pubblicitario denominato «Ozzie News Network», l’associazione ha preso atto che, pur non consentendo la pubblicità di alcool e di altri prodotti per adulti a minori di 18 anni, Facebook non impedisce agli inserzionisti di riferirsi a quei minori i quali, in base agli algoritmi, abbiano espresso interesse per alcool o altri prodotti non consentiti.
Secondo i calcoli di Reset Australia, fare pubblicità a 52mila adolescenti interessati all’alcool, costerebbe 3,03 dollari, mentre per arrivare a 14mila adolescenti interessati al gioco d’azzardo servirebbero 11,24 dollari. Per meno di un migliaio di adolescenti interessati a sigarette (elettroniche e non) si spenderebbe tra i 138,50 e i 210,97 dollari.
Reset Australia ha quindi chiesto al governo australiano di sviluppare un codice che disciplini i dati raccolti sui giovani, suggerendo che i genitori debbano acconsentire. Il direttore esecutivo dell’associazione, Chris Cooper, è peraltro perplesso: «Un tredicenne che dica di essere single riceverà allora annunci mirati per servizi di incontri? Un quindicenne classificato come interessato all’alcol vedrà annunci che suggeriscano cocktail da farsi con il contenuto dell’armadietto degli alcolici dei genitori?».
L’imbarazzante situazione portata alla luce dall’organizzazione australiana è però nulla a confronto con quanto emerse quattro anni fa, a seguito di un’inchiesta della BBC. Il network televisivo britannico segnalò dozzine di foto a sfondo pedopornografico presenti su Facebook: l’80% delle immagini non è peraltro mai stato rimosso. Esattamente in linea con quanto denunciato da don Fortunato Di Noto a proposito di certi contenuti che restano in rete anche dopo le denunce. Quanto allo scoop della BBC, per tutta risposta all’epoca i giornalisti furono denunciati dallo stesso Facebook noto per il rigore nel vietare immagini di «nudità o altri contenuti sessualmente allusivi».
In quell’occasione la BBC aveva segnalato a Facebook la presenza di 100 immagini oscene in ognuna delle quali era presente almeno un minore. Le più soft coinvolgevano ragazze appena entrate nell’adolescenza, altre erano pedopornografia allo stato puro. Soltanto diciotto di queste immagini erano state rimosse. Verifiche ulteriori effettuate dell’emittente britannica avevano rilevato la presenza di cinque profili gestiti da utenti con precedenti penali per reati a sfondo carnale: nonostante Facebook vieti a queste persone di aprire account, nessuno dei cinque profili è stato cancellato dopo le relative segnalazioni.
La lista dei mercimoni veicolati tramite il social network più famoso del mondo non finisce comunque qui. Verso la fine del 2019, poco prima che la pandemia fagocitasse ogni altro argomento di dibattito, quando il tema sulla cresta dell’onda era l’immigrazione clandestina, almeno un paio di testate italiane, tra cui Il Giornale e il Sole 24 Ore, rivelarono l’esistenza di pagine Facebook create apposta per dare informazioni su come sbarcare illegalmente sulle coste italiane nelle migliori condizioni possibili. Come sul dépliant di un’agenzia viaggi, veniva spiegato quali fossero i porti di partenza turchi più indicati e quali quelli d’arrivo, con tanto di tariffe più convenienti (normalmente oscillanti tra i 2mila e i 4mila euro). E ancora: Facebook non sta facendo proprio nulla per ostacolare la persecuzione attuata dal regime comunista cinese contro gli uiguri dello Xinjiang, che i suoi abitanti non han chiamano Turkestan orientale. Al punto che, il 25 marzo, in un’audizione al Congresso statunitense, Zuckerberg in persona ha ammesso, senz’alcuna conseguenza per sé e per la propria piattaforma, che Pechino usa Facebook (peraltro oscurato all’interno dei confini cinesi) per monitorare e per spiare gli uiguri riparati all’estero.
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