Last updated on aprile 14th, 2021 at 10:36 am
Oltre due terzi degli statunitensi ritiene la cancel culture una minaccia per la propria libertà. Dunque la maggioranza non solo non approva, ma è preoccupata di questa violenta sindrome del razzista che porta al sabotaggio, all’eliminazione, alla distruzione finanche fisica di libri, opere artistiche, statue. Lo rivela un sondaggio curato da Harvard CAPS – Harris Poll per il quotidiano The Hill. L’indagine ha rilevato che il 36% degli statunitensi considera questo fenomeno di rediviva “iconoclastia” un «grosso problema», mentre il 32% l’ha definito un «problema moderato». Un altro 20% ha affermato che si tratta di un «piccolo problema» e soltanto il 13% ha affermato che «non è un problema».
Mozart e Beethoven razzisti
Questi risultati giungono proprio mentre il dibattito sulla cancel culture è acceso da nuovi fuochi su cui ardono due tra i più grandi musicisti della storia. L’Università di Oxford, infatti, ha messo sulla graticola Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) e Ludwig van Beethoven (1770-1827). Il motivo? Sono bianchi, maschi ed europei. Come riporta The Telegraph, per gli insegnanti del celebre ateneo occorre «decolonizzare» il repertorio musicale da proporre agli studenti. Del resto, secondo costoro, far conoscere il valore artistico di un Mozart o di un Beethoven sarebbe «uno schiaffo in faccia» nei confronti degli studenti neri. E allora meglio ampliare l’offerta formativa con «musiche diasporiche africane», «musiche globali» e «musiche popolari». E poco importa se dovessero rivelarsi meno valide degli spartiti dei grandi esponenti della musica classica europea, l’importante è che siano musiche politicamente corrette.
La censura di Disney
Ma non è finita. Questi novelli iconoclasti di Oxford vorrebbero persino togliere l’obbligatorietà dei corsi di pianoforte e orchestrali, in quanto «sono capisaldi della musica europea bianca e causerebbero disagio tra gli studenti di colore». Un’idea bizzarra, tale da scandalizzare le persone nere che apprezzano e anche interpretano musica classica. Così come, del resto, sarà sicuramente dispiaciuta ai bambini di qualsiasi etnia la censura che si è abbattuta di recente su alcuni classici cartoni animati da parte della Disney. La piattaforma ha depennato Peter Pan, Dumbo e gli Aristogatti. Anche per loro, l’accusa è di razzismo. E per quale motivo? Perché in Peter Pan compare una tribù definita di «pellerossa», perché in Dumbo la strofa di una canzone – «E quando poi veniamo pagati buttiamo via tutti i nostri soldi» – sarebbe un affronto agli schiavi afroamericani, e perché tra gli Aristogatti c’è un felino siamese, tale Shun Gon, con tratti definiti caricaturalmente orientali.
Gli anatroccoli razzisti
Eppure non ci facciamo più nemmeno caso. La spirale di razzismo è così veloce da fagocitare tutto e tutti. Il ministero dell’Istruzione dell’Arizona è arrivato addirittura a considerare il razzismo una componente insita in ogni bambino. E che dire poi delle feste cristiane? Il combinato disposto tra misure contro il CoVID-19 e ossessione anti-razzista ha già assestato una serie di colpi al Natale. Ma nel mirino finisce anche la Pasqua. Già due anni fa, prima ancora del Black Lives Matter e della cancel culture, era scoppiato un caso. La catena di supermercati britannica Waitrose era stata costretta a scusarsi per aver venduto anatroccoli pasquali di cioccolato «razzisti». Ogni confezione ne conteneva tre; uno al cioccolato bianco chiamato «Fluffy» (soffice), uno giallo al latte chiamato «Crispy» (croccante), infine uno al cioccolato fondente chiamato «Ugly» (brutto). Il nome di quest’ultimo ha suscitato insofferenza e l’azienda lo ha dovuto cambiare. È andata peggio all’azienda Dubler, che quasi un anno fa in Svizzera è stata costretta proprio a togliere dal mercato i cioccolatini “moretti”. Razzisti, anche loro.
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