Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:05 pm
Viviamo tempi tesi, e ogni minima smorfia del volto può essere fraintesa ma pure fare la differenza.
Quel che è successo il 6 gennaio al Campidoglio di Washington è più che evidente, ma, senza scomodare lo stupidario del complotto, qualcos’altro è altrettanto evidente. La convergenza di interessi fra Sinistra mondiale, poteri forti, media e Big Tech che da quattro anni non perde un attimo per martellare nella mente del mondo l’idea che Donald J. Trump usurpi la presidenza dal 2016, la sua elezione sia stata uno scherzo della natura e la sua Amministrazione un errore di rotta lungo la timeline della storia sta ora sfruttando l’occasione per assestare il colpo finale.
Ma non il colpo finale a Trump, perché, con tutto il rispetto che a Trump è dovuto per quanto di buono ha fatto in quattro anni, i presidenti vanno e vengono. Il colpo finale quel jet-set internazionale di ideologi e di ideocrati lo sta piuttosto assestando al mondo che Trump (comunque) rappresenta. Solo negli Stati Uniti d’America si tratta di più di 74 milioni di persone, record storico, ma il fenomeno è mondiale. I “cercatori di odio” che stanno inseguendo la linea di tiro pulita per esplodere il colpo terminale nella nuca di Trump sanno benissimo cosa il sottoscritto intenda, e lo hanno capito molto meglio di tante anime belle che si perdono in quei distinguo capziosi con cui cercano di mascherare o stupidità o connivenza. Da anni battono come sordi sull’“internazionale populista”, edizione 2.0 dell’“internazionale nera”, per convincere i più della “cospirazione sovranista” che starebbe dirottando la Terra al peggio. Ma tutti sappiamo che non è così.
Il termine «populismo» è quello normalmente usato dagli acchiappafarfalle delle cospirazioni rimasti a secco di parole e di «sovranismo» ho per la prima volta sentito parlare, più di 20 anni fa, quando, da giornalista, bazzicavo il Parlamento Europeo a Strasburgo e a Bruxelles in bocca ai gaullisti di destra dell’ex ministro francese Charles Pasqua (1927-2015), ma è una storia distante anni-luce da quella raccontata oggi dai suddetti “cercatori”.
La realtà è piuttosto quella di un mondo eterogeneo di forze e di spinte culturali, che, in gran parte del pianeta, hanno in comune più quel che non sono di quel che sono. Forze e spinte, infatti, non ancora completamente avvelenate dalle bugie della Sinistra, del globalismo o di come volete chiamarlo. Dopo di che, ognuno segue inclinazioni proprie, incarna culture diverse (anche parecchio) e non sempre va d’accordo con il vicino di casa di cui condivide l’avversario.
Ma il punto di valore qui è la grande rivolta: l’avere rotto le uova nel paniere a chi già si dava, giubilante, di gomito, sicuro dell’esito delle magnifiche sorti e progressive.
Ora, non l’ha inventata Trump questa rivolta. Negli Stati Uniti inizia almeno con Barry M. Goldwater (1909-1998) e s’impenna con Ronald Reagan (1911-2004). In Italia inizia invece nel 1994 con la famosa «discesa in campo» di Silvio Berlusconi. Certo, oggi è cambiato molto rispetto al 1964, al 1980 e al 1994. Ma un marziano che fra un millennio ricostruisse la storia dell’Occidente dalla seconda metà del Novecento al primo ventennio del secolo XXI si accorgerebbe di queste continuità ben più di quanto siano disposti ad ammettere gli analisti e gli “esperti” odierni, di qualsiasi colore politico siano, o umore.
Nell’ultimo lustro la storia ha però senza dubbio accelerato, e Trump ‒ sia detto freddamente ‒ è diventato un simbolo. Di cosa? Delle tante cose di cui è fatto il «no» eterogeno, ma rotondo e sonoro, che milioni di persone nel mondo, talora istintivamente talaltra più ragionatamente, si sono sorprese capaci, dall’oggi al domani, di dire a voce alta. Fra queste molte cose ve ne sono alcune che riguardano direttamente “iFamNews”: il diritto alla vita, la difesa della famiglia naturale, la garanzia delle libertà autentiche della persona, a cominciare dalla libertà religiosa per proseguire con la libertà di espressione, di riunione, di intrapresa e di educazione. Non sono tutte le cose di cui si sostanzia quell’eterogeneo «no» globale antiglobalista, ma direi che senza ombra di dubbio sono quelle essenziali, principali.
Ebbene, non bisogna avere studiato ad Harvard per capire che chi difende il diritto alla vita, la famiglia naturale e le libertà autentiche della persona non irrompe nei parlamenti con le corna di bisonte in capo. Certo, nella marea mondiale di persone che hanno a cuore i princìpi non negoziabili albergano anche degli spostati. Io per esempio di svalvolati così ne conosco, e non tutti hanno il petto tatuato. Il problema però è loro, mai mio. L’azione del sottoscritto è stata, è e sempre sarà distinguibile dalla loro, persino opposta. La differenza, cioè, tra il Sole e la Luna che corre tra rivoluzione di segno contrario e contro-rivoluzione. Solo un osservatore sciocco (pochi) o in malafede (tanti) potrebbe sovrapporle.
Ecco, quello che è capitato il 6 gennaio al Campidoglio è solamente questo. Trump ha commesso errori? Per definizione sì, come ogni altro essere umano. Sospetto sempre dei perfettini, come lo è la media della Sinistra mondiale odierna, sempre capace di vedere solo la pagliuzza nell’occhio del nemico. Ma l’ho scritto e lo ripeto: davanti a quel che è successo a Washington all’Epifania, se io fossi un abortista o un attivista LGBT+ o un ideologo di sinistra, mi fregherei le mani. Perché lo “sciamano” cornuto del Congresso, ovvero Jake Angeli, ha portato più acqua al mulino della Sinistra in solo qualche minuto di quanto abbia fatto tutta la propaganda studiata dai colletti bianchi della Sinistra in anni di sforzi a tavolino.
Ma il signor Angeli, e chi per lui, non cancelleranno mai la realtà di quell’insieme di popoli interi che, per vie diverse, ha riconosciuto in Trump una bandiera issata. Quella bandiera però bisogna raccoglierla subito e sventolarla alta senza paura: ho scritto già anche questo, e lo riscrivo volentieri.
Per questo motivo ad “iFamNews” giudichiamo errata la decisione di Trump di non partecipare, se invitato, alla cerimonia di inaugurazione del presidente Joe Biden e del vicepresidente Kamala Harris, che il 20 gennaio si svolgerà al Campidoglio. Trump, se invitato, dovrebbe invece andarci.
Non sappiamo che ne sarà domani di Trump, e seguiremo ogni sviluppo d’appresso, esattamente come seguiremo anche le azioni del monocolore della «cultura di morte» che dal 20 gennaio guiderà le istituzioni del Paese più importante e influente del mondo. Sappiamo che i moltissimi che hanno visto in Trump, pur in modi diversi, un emblema, continuano ad avere bisogno di simboli e di guide.
Io non mi sono mai schierato dalla parte di Trump. È Trump a essersi schierato dalla parte mia, ovvero dalla parte della vita, della famiglia e delle libertà autentiche della persona, che anche con “iFamNews” difendo quotidianamente. Dunque oggi scrivo a Trump per ricordargli queste verità e per domandargli di non servire su un piatto d’argento un’altra occasione ai nostri nemici: ovvero di prendere parte, se invitato, alla cerimonia di Washington del 20 gennaio. Mentre il jet-set sta cercando di censurarlo in via definitiva e con gran dispiego di mezzi, quella sua presenza, smagliante e trasparente, seria e guascona, risuonerebbe infatti come il gran grido salgariano «La Tigre non è morta». Perché a lanciarsi alla riscossa non sarebbe tanto Trump, quanto i milioni di persone che, avendo a cuore i princìpi non negoziabili, sono da quattro anni il volto più bello della sua Amministrazione. Mr. Trump, tolga con eleganza il terreno sotto ai piedi di chi già pregusta, per dirla in latinorum, la reductio ad sciamanum.
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