Last updated on Agosto 21st, 2020 at 08:56 am
Esattamente un anno fa, il 12 agosto, si celebravano i funerali di una donna che è impossibile, oggi, non ricordare con gratitudine: Paola Bonzi, fondatrice e presidente del Centro Aiuto alla Vita della Clinica Luigi Mangiagalli di Milano (per tutti, il CAV Mangiagalli), morta il 9 agosto 2019 a Brindisi.
I suoi studi, nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e nell’istituto milanese La Casa, l’avevano portata a svolgere con competenza e con passione la professione di consulente familiare e la sua condizione di non vedente, dall’età di circa vent’anni, non le ha impedito di impegnarsi in un percorso di formazione continua, al fine di perfezionare la propria capacità di ascolto, per instaurare con le donne e con le coppie una relazione umana ed empatica profonda, stimolandole all’uso delle risorse personali migliori.
Perché questo Paola faceva, dal 1984, nel proprio ufficio di via della Commenda: accoglieva, ascoltava, consigliava, aiutava poi, anche con i fatti e con i denari, quelle donne in difficoltà che si rivolgevano a lei con l’intenzione di non far nascere il proprio bambino e che uscivano invece dalla sua stanza confortate, certe dell’esistenza di una rete di supporto che le avrebbe aiutate a sostenere sia la fatica sia la gioia dell’avventura della vita che avevano dentro di sé.
Nel corso degli anni il profilo di quella che si chiamerebbe “utenza” del CAV Mangiagalli è cambiato: sono cambiati i nomi, le facce, i tratti somatici, i luoghi di nascita e le nazionalità sui documenti.
Ciò che non è cambiato è il cuore di queste donne, che intimamente sapevano e sanno che nonostante difficoltà che paiono insormontabili una via c’è, deve esserci. Per non arrendersi alla morte, per non uccidere il bambino che portano in grembo, per non accettare le parole dei tanti che dicono loro di scegliere l’aborto, «così poi non ci pensi più».
Paola Bonzi per oltre trent’anni ha fatto esattamente questo: grazie anche a una rete di volontari e di donatori, ha aiutato donne spesso sole, spesso spaventate, spesso senza alcuna risorsa economica, a trovare la soluzione affinché vincesse la vita.
A volte con un aiuto psicologico, a volte dando loro la giusta spinta per parlarne con la famiglia o con il compagno, a volte fornendo carrozzine e pannolini, un tetto sulla testa, un lavoro per il marito disoccupato: prima, durante e dopo la gravidanza.
È riuscita a far nascere oltre 23mila bambini aiutando le loro mamme, pur nel rispetto di una legge, la 194 del 1978, che regolamenta in Italia l’accesso all’aborto e che di per se stessa dichiara che l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere l’extrema ratio, l’ultimissima, dopo che tutto il resto sia stato esplorato e sperimentato, solo ed esclusivamente in casi gravissimi, in casi limite.
Anche in questi giorni, invece, si assiste a uno svilimento, a una banalizzazione, a una riduzione a zero dell’aborto che lasciano francamente interdetti. Le nuovissime linee guida sull’uso della RU486, la pillola per abortire, la kill pill, vittoriosamente sbandierate dal ministro Roberto Speranza e da alcuni “giornaloni” buoni per incartare il pesce, vanno nella direzione esattamente opposta a quella che il CAV Mangiagalli ha portato avanti per tanto tempo.
Come le tre scimmiette giapponesi, non si vuole vedere, non vuole sentire, non si vuole parlare.
Un bambino nel grembo è «un grumo di cellule» che un paio di pillole ben dosate «fanno sparire», nel bagno di casa, in «tranquillità e sicurezza». Balle. Balle raccontate alle donne, sulla pelle delle donne, alle quali non si parla invece in primo luogo dell’intoccabilità della vita, poi del dolore che un aborto lascia per sempre a quelle che vi si sottopongono, infine delle condizioni di pericolo in cui potrebbero trovarsi per via di una pratica che non è invece né tranquilla né sicura.
A nessuna di queste donne si parla di altre scelte, della possibilità di essere aiutate, fino ad arrivare all’eventualità di cambiare idea strada facendo, con l’uso di un medicinale anti-abortivo che possa interrompere quanto iniziato.
E viene da scuotere la testa con tristezza, pensando a chissà che cosa avrebbe detto, lei, signora Bonzi…
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