Nonostante le evidenze scientifiche e l’estrema cautela raccomandata anche da un numero sempre maggiore di medici, la spinta alla transizione per i giovani che ritengano di non essere a proprio agio con il loro corpo e in special modo con il loro sesso biologico si fa sempre più violenta.
Lo dimostra, nel Regno Unito, una iniziativa del governo scozzese annunciata nell’estate. A seguito dell’accordo fra il Partito Nazionale Scozzese (SNP), di orientamento socialdemocratico, e Verdi, il parlamento di Holyrood ha annunciato l’intenzione di presentare nel corso del 2022 un disegno di legge per rimuovere quelli che pare considerare niente altro che ostacoli burocratici all’autodeterminazione di genere, la cosiddetta «self-id», e che sono invece garanzie, se pure minime, nondimeno essenziali.
Secondo la normativa, il Gender Recognition Act del 2004, in vigore dal 2005, le persone maggiorenni che lo desiderino possono cambiare sesso solo con il consenso di due medici competenti, se hanno vissuto come se appartenessero al sesso di transizione per almeno due anni e dopo avere dichiarato in via ufficiale l’intenzione di continuare a farlo per il resto della vita.
Il nuovo disegno di legge vorrebbe invece eliminare la necessità di qualsiasi prova di natura medica, ridurre il periodo di “riflessione” da due anni a soli tre mesi e, soprattutto, estendere ai sedicenni la possibilità di effettuare una transizione a tutti gli effetti.
Oggi neppure tanto, però, basta a Children in Scotland (CIS), l’ente di beneficenza istituito nel 1983 che funziona da agenzia nazionale per le policy sull’infanzia e raggruppa 400 organizzazioni di volontariato.
La richiesta di CIS al governo, infatti, prevede un passo ulteriore nell’estensione del disegno di legge, cioè «[…] che i bambini di appena dodici anni possano richiedere un certificato di riconoscimento del genere senza il permesso dei genitori». In pratica, bambini che hanno appena imparato a lavarsi i denti correttamente e forse neppure hanno in tasca le chiavi di casa dovrebbero essere autorizzati per autocertificazione a dichiarare il proprio gender, diverso dal sesso biologico alla nascita, in base a come “si sentono”, senza neppure informare mamma e papà.
Con parole che pesano come pietre, infatti, «[…] il CIS ha descritto il periodo di “riflessione” raccomandato di tre mesi come “arbitrario” e “non necessario” e ha affermato che “potrebbe avere effetti negativi sulla salute mentale dei giovani trans”».
Altrettanto lapidariamente l’ente inoltre ha aggiunto: «Preferiremmo un passaggio verso un modello di autoidentificazione formalizzato, in cui le persone possano cambiare genere legalmente, in un momento scelto da loro», per poi concludere: «Riteniamo che questo processo dovrebbe anche essere autodichiarativo e non dovrebbe richiedere il consenso dei genitori».
La società civile scozzese ha già avanzato molte riserve rispetto al percorso intrapreso dal governo e alla pretesa avanzata da Children in Scotland. Il gruppo di attivisti per i diritti delle donne For Women Scotland (FWS), che ha definito la pretesa di CSI come «stupefacente», ha dato vita a una campagna finalizzata a comunicare al governo le preoccupazioni rispetto alle modifiche previste al disegno di legge.
Parlando al Sunday Times Scotland, il FWS ha dichiarato: «Visto l’aumento del numero di persone che intraprendono un percorso di de-transizione, è assolutamente irresponsabile sollecitare bambini appena dodicenni, vulnerabili, a prendere decisioni affrettate in un’età spesso piena di confusione».
Un dettaglio, che in realtà un dettaglio non è, dà una chiave di lettura a quanto sta accadendo in Scozia: «[…] il CIS ha ricevuto oltre 2,7 milioni di sterline in sovvenzioni dal governo scozzese durante l’esercizio finanziario terminato a marzo 2021, pari a oltre il 70% del reddito totale».
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