Vogliono “laicizzare” la Religione cattolica

Appello del prof. Incampo affinché venga rivisto il concorso per l’insegnamento

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Last updated on Febbraio 15th, 2021 at 04:51 am

«Nessuno ha chiesto questo concorso». È stringato e diretto il commento del prof. Nicola Incampo, pensionato da settembre dopo 40 anni di insegnamento, a proposito del dibattuto concorso per i docenti di Religione cattolica. «Non i sindacati, non gli insegnanti, e soprattutto non l’hanno chiesto gli uffici scuola diocesani», spiega ad “iFamNews”.

Esperienza non premiata

«È un concorso iniquo», prosegue Incampo, che ogni giorno sul sito Cultura Cattolica risponde dall’alto della propria esperienza ai dubbi dei colleghi. Tra gli insegnanti di Religione è del resto considerato un vero e proprio decano. «Questa disciplina scolastica ha una atipicità: il 70% degli insegnanti che dovrebbe essere di ruolo e il 30% di incaricati annuali». Il concorso in questione ha l’obiettivo di assumere nuovi docenti laddove mancano insegnanti di ruolo, circa 4.300, stando al calcolo di Incampo. «Andrebbero assunti», spiega, «in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Liguria». C’è tuttavia un grave vulnus denunciato da Incampo: «Il concorso, così come è stato tracciato da quelli che chiamo “i pensatori”, mette sullo stesso piano chi ha un bagaglio d’esperienza di un’ora di supplenza a chi ha maturato vent’anni di servizio».

La “laicizzazione” della Religione

Eppure questo concorso nasce da una richiesta degli stessi insegnanti. «Nel 2017», riavvolge il filo Incampo, «chiedemmo un concorso per l’immissione in ruolo degli insegnanti di Religione». Lui stesso partecipava al tavolo delle trattative al ministero dell’Istruzione. «Tuttavia lo abbandonai quando mi accorsi non solo che il concorso avrebbe messo sullo stesso piano docenti esperti e non, ma anche che alcuni sindacati e il governo di allora volevano verificare i contenuti», ricorda. Cosa intende di preciso? «L’abilitazione all’insegnamento di Religione cattolica», spiega, «la dà la Chiesa, non lo Stato». Pertanto, continua, «il concorso serve per l’immissione in ruolo, non per l’abilitazione con verifica di contenuti». Questo equivoco non è stato ancora sciolto. Il rischio, rileva Incampo, è che così «la Religione cattolica diventi un più vago Storia delle Religioni».

Il sostegno di mons. Sanguineti

Incampo plaude all’intervento del vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti, il quale, con una lettera, ha espresso solidarietà agli insegnanti che si sentono discriminati da questo concorso. Risale però al 14 dicembre l’intesa firmata dalla Conferenza episcopale italiana (CEI) e dal ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, a proposito di questo concorso. «Faccio tuttavia presente», dice l’insegnante in pensione, «che lo stato giuridico degli insegnanti non necessita di un’intesa con la CEI, dunque è un episodio superfluo».

Come fare ora?

Al di là della posizione dei vescovi, resta la battaglia da fare. «Secondo una mia ricerca, il 94% dei docenti ha più di 3 anni di lavoro. Ebbene, il concorso così com’è oggi, prevede che la metà dei nuovi assunti verrà attinta a questo 94%, mentre l’altra metà al 6% di chi ha meno di 3 anni. È molto sbilanciato». La proposta è dunque la seguente: «Chi ha più di 3 anni sia abilitato a fare un concorso per titoli e servizi, che consenta la creazione di una graduatoria finalizzata all’assunzione immediata». Incampo sottolinea infine un aspetto: «Un concorso per chi è già abilitato, non è un privilegio. Lo prevede già la Buona Scuola. Lo hanno fatto tutti gli insegnanti, tranne quelli di Religione».

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