La legge sull’aborto in vigore nello Stato di Victoria, in Australia, è fra le più crudeli e cruente e radicali del Pianeta. Essa consente l’aborto fino alla nascita «[…] per motivi fisici, psicologici e sociali». È sufficiente che l’aborto sia approvato da due medici, che, per assurdo, possono essere persino il chirurgo e l’anestesista che eseguiranno materialmente la procedura di cessazione della gravidanza. Né sono mancati casi, purtroppo numerosi, di neonati sopravvissuti ad aborti praticati in uno stadio avanzato della vita nel grembo materno, lasciati poi morire nel pieno rispetto di questa legge perversa.
Neppure tanto però bastava a Fiona Patten, deputato appartenente al Reason Party, da lei stessa fondato e precedentemente noto come Australian Sex Party, che con un pugno di parlamentari ha tentato di far passare un emendamento, il 28.7, che obbligasse ogni struttura sanitaria, anche quelle di origine o affiliazione religiosa, a inserire fra le proprie prestazioni anche l’aborto.
L’emendamento avrebbe buttato alle ortiche la legge sull’obiezione di coscienza, denominata Bill 2022, ponendo come discrimine la sovvenzione da parte dello Stato: qualunque ospedale ricevesse finanziamenti pubblici avrebbe dovuto allinearsi.
Nella pratica, i parlamentari laburisti e conservatori hanno espresso voto contrario e la proposta promossa dalla Patten è rimasta lettera morta. Dal canto proprio il ministro della Salute, Mary-Anne Thomas, laburista, aveva già respinto tale proposta prima del voto, sottolineando come non sussista alcuna necessità di tale modifica alla normativa in vigore nello Stato. «Abbiamo, qui nel Victoria, le leggi più progressiste [sic] del Paese quando si tratta di garantire alle donne l’accesso [all’aborto]», ha dichiarato durante una conferenza stampa.
Sarà forse un pensiero malizioso, ma sulla posizione della Thomas deve avere anche pesato il fatto che, se gli ospedali di affiliazione religiosa ricevono sussidi da parte dello Stato, altrettanti se non di più ne ricevono dai privati, singoli o organizzazioni, che mai avrebbero accettato che l’emendamento 28.7 fosse applicato nelle strutture che mantengono con le proprie generose donazioni.