Un “nuovo ordine mondiale” dell’anti-famiglia?

Le dichiarazioni solenni e ufficiali pro family si sprecano. Ma la realtà delle politiche internazionali e nazionali (Italia compresa) rivelano ben altro

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Last updated on Maggio 21st, 2020 at 12:04 pm

È caduta, ieri, 15 maggio, in un clima di sorprendente contraddizione la Giornata internazionale della Famiglia indetta anni fa, nel 1993, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Infatti, a fronte di solenni documenti internazionali e nazionali unanimemente inneggianti alla famiglia, si fa largo una prassi sovente assai difforme, al punto di relegare l’istituto familiare a umiliata Cenerentola della società, del diritto, della cultura.

Tra le affermazioni solenni spicca l’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (10 dicembre 1948), per la quale «la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato», ripreso dai Patti dell’ONU (16 dicembre 1966) e pure dall’art.10, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (1966), prevedendo per essa l’assistenza e la protezione «più ampia che sia possibile». Analogamente la Carta sociale europea del 18 ottobre 1966 e l’art. 33 della Carta araba dei diritti dell’uomo (15 settembre 1949), affiancato dall’art. 18 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (28 giugno 1981): entrambe definiscono la famiglia «l’elemento naturale e la base della società».

Sottolinea vigorosamente, oltreché la sua naturalità, pure l’indispensabilità della famiglia per la crescita e per il benessere di tutti i suoi membri, in particolare dei fanciulli, il Preambolo della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (20 novembre 1989), mentre gli fa eco la Carta africana sui diritti e il benessere del minore (11 luglio 1990), imponendo allo Stato l’obbligo di proteggere e sostenere la famiglia «[…] nel suo costituirsi e nel suo sviluppo» (art.18).

Uno sguardo alle Costituzioni dei diversi Paesi conferma l’identità della famiglia quale cellula primaria e vitale della società. Primeggia l’art. 29 della Costituzione italiana («società naturale fondata sul matrimonio»), seguita dalla Costituzione greca (art.21), armena (art.35), estone (art.27), lituana (art. 38), irlandese (art. 41), quelle del principato di Andorra (art. 13), venezuelana (art.75), slovacca (art.41), ceca (art. 32), albanese (art.53), bulgara (art.14),ucraina (art.51), algerina (art.58), per citarne solo alcune. In buona sostanza, un quadro idilliaco di umanesimo familiare degno della più consolante lettura dignitaria dei diritti umani, specie nell’ambito della famiglia e della vita.

“Liberi tutti”?

Un vero peccato dovere invece constatare come, a onta di siffatte dichiarazioni decisive, la prassi si riveli piuttosto diversa. La famiglia è oggi seriamente minacciata nel suo genoma. La vera minaccia sta nella dissoluzione dell’idea stessa di famiglia e del senso della sua relazione costitutiva. Il cosiddetto pluralismo familiare, veicolando l’equivoco dell’esistere di più modelli familiari, genera una sorta di relativismo familiare, consistente nell’attribuire la qualifica di famiglia a un numero indefinito di relazioni sociali, il cui unico requisito sarebbe unicamente il sentimento dei loro componenti.

A ciò contribuiscono organismi di vertice quali l’ONU e le sue agenzie, nonché le legislazioni di svariati Paesi. Quanto all’ONU, esso sembra dirigersi verso un “nuovo ordine mondiale” fondato su una montante interpretazione libertaria dei diritti umani, quindi, in ultima istanza, su una antropologia nuova e su un’etica nuova. Come mai, viene da chiedersi, organismi istituiti per svolgere il ruolo determinante di tutela della pace e di promozione di un ordine giuridico-politico fiorente abdicano a questa missione e facilitano invece l’abbandono di istituti fondanti quali la famiglia al dilagante relativismo etico? Forse che le permanenti difficoltà nell’adempiere a quel compito, con conseguente perdita d’identità e frustrazioni connesse, inducano detti organismi a un “liberi tutti” sul resto? Assai probabile.

Incentivano detto panorama tutt’altro che esaltante le legislazioni di diversi Stati, solo che si pensi, per rimanere al nostro Paese, a come la legalizzazione del divorzio, dell’aborto, della fecondazione artificiale e delle DAT abbiano non solo perpetrato una violazione devastante di diritti umani fondamentali e di istituti-architrave quali appunto la famiglia, ma pure generato una cultura positivamente anti-famiglia, le cui conseguenze sono destinate a ricadere pesantemente sulle generazioni future.

E sì che sarebbe ‒ torno all’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ‒ «nucleo naturale e fondamentale della società». «Fondamentale» perché su essa poggia l’edificio intero e perché quindi senza di essa tutta la costruzione crolla. Infatti, non solo la famiglia garantisce il futuro dei popoli attraverso la generazione dei figli, ma umanizza efficacemente la società, in quanto i figli è volta a educarli e a renderli cittadini responsabili.  La famiglia racchiude in sé sia l’aspirazione all’eternità ‒ i figli sono percepiti come superamento del limite temporale della propria vita ‒ sia la gratuità dei comportamenti, specie verso i suoi membri più deboli. La destinazione alla generazione strutturale della differenza sessuale è un’impronta che non può essere cancellata e che determina una complementarietà di sensibilità anche nei casi di sterilità, giacché integra e completa l’umanità di ciascuno.

Per una cultura integrale della famiglia

La richiesta delle persone con tendenze omosessuali di vedere le proprie convivenze equiparate al matrimonio cozza insomma contro l’evidenza della loro strutturale impossibilità di generare figli. A quelle persone va certo riconosciuta eguale dignità, ma la loro compagnia potrà essere equiparata a qualsiasi altra compagnia in cui non giochi un ruolo la sfera sessuale.

È infatti solamente la coppia eterosessuale che fonda la famiglia con il matrimonio a creare interesse pubblico. E con un connotato di autentica laicità.

Infatti la famiglia nucleare – quella composta da un uomo e da una donna stabilmente uniti e dai loro figli – esiste da sempre, è stata riconosciuta come società naturale prima dell’avvento del cristianesimo e risulta essere la sola struttura presente in tutte le civiltà.

L’istituto familiare è quindi centrale anche sul piano politico e non a caso, come ricordato, i più importanti documenti nazionali e internazionali ribadiscono questo concetto. Appare pertanto assai miope quella politica che ignori o, peggio, ostacoli la famiglia – come quella messa in atto dalla governance mondiale, oltreché dall’attuale governo italiano –, poiché in tal modo si viene a dimenticare il vero bene della società e soprattutto il suo futuro. Urgente e prioritaria è quindi la necessità di politiche per la famiglia, tantopiù nell’attuale contesto di denatalità. Deve trattarsi di politiche soprattutto promozionali, alla cui stregua emerga come il generare figli rappresenti un fattore di vantaggio e di crescita per tutti.

Ma non sarebbe sufficiente. La denatalità, per quanto aggravata dalla crisi economica, ha radici assai più profonde. Lo testimoniano i Paesi nordeuropei, i più virtuosi quanto a welfare, che, ciò nonostante, segnano il passo quanto a crescita demografica: a riprova, questo, dell’origine culturale prima che economica della denatalità. Quelle politiche vanno allora accompagnate dalla ricostruzione di una cultura per la famiglia, che ne faccia percepire le ragioni profonde e salutari, a partire da quelle di un ambito ricco di relazioni intergenerazionali “esportabili” all’esterno (che ne ha bisogno immenso), nella consapevolezza che la felicità della persona e quindi della società dipende dalla ricchezza delle sue relazioni.

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