Un maiale vale più anche di un neonato

L’implacabile coerenza di chi sostiene che alcune vite «non abbiano valore». Il noto Peter Singer, per esempio

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Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:16 am

Un maiale ha più dignità di un cristiano perseguitato. Folle, ma non nuovo. Esiste infatti chi ritiene che effettivamente vi siano circostanze in grado di abbassare la dignità di un essere umano al di sotto di quella di un maiale. Dunque che sia possibile disfarsene con più serenità di quella con cui si fa un prosciutto. Si tratta ovviamente di una vecchia conoscenza, l’australiano Peter Singer, «il più influente filosofo vivente», teorico della intercambiabilità dei bambini. Nel suo Etica pratica, del 1979, scrive: «Un bambino di una settimana non è un essere razionale e autocosciente, e vi sono molti animali non-umani la cui razionalità, autocoscienza, consapevolezza, capacità di sentire e così via, è superiore a quella di un bambino umano di una settimana, o anche di un anno. Se il feto non ha la stessa pretesa alla vita di una persona, sembra che non l’abbia neanche il neonato, e che la vita di un neonato abbia meno valore della vita di un maiale, un cane o uno scimpanzé».

Singer difende questa presunta evidenza contro quella che gli appare una mera patina sentimentale, affermando che «pensare che le vite dei bambini abbiano un valore speciale perché i bambini sono piccoli e carini, è lo stesso che pensare che un cucciolo di foca, con la sua morbida pelliccia bianca e i suoi grandi occhi espressivi, sia meritevole di maggior protezione di una balena, che manca di questi attributi. Né può l’essere l’indifeso o l’innocenza del bambino homo sapiens costituire un motivo per preferirlo al parimenti innocente e indifeso homo sapiens allo stato fetale, o ai topi di laboratorio che sono “innocenti” esattamente nello stesso senso in cui lo è un bambino umano, e, di fronte al potere degli sperimentatori su di loro, quasi altrettanto indifesi».

Dunque, mettendo da parte gli aspetti «molto potenti sul piano emotivo ma a rigore irrilevanti» dell’uccisione di un bambino, «ci sono meno ragioni contro l’uccisione sia dei bambini che dei feti di quante ce ne siano contro l’uccisione di coloro che sono capaci di considerare se stessi come entità distinte esistenti nel tempo».

Ecco il punto: qualsiasi definizione di “persona” che faccia riferimento alle caratteristiche per cui, a un certo punto dello sviluppo, un essere umano acquista caratteristiche che lo rendono “degno” di essere considerato parte della “comunità morale” indica necessariamente che per alcuni “la vita non è degna di essere vissuta”, cioè è disponibile, in balia delle decisioni e delle preferenze degli “altri”, gli “esseri umani in senso pieno”, le “persone in senso pieno”.

Gli esempi già ci sono: Charlie Gard (2016-2017) ed Alfie Evans (2016-2018). E non si è trattato affatto di casi “davvero particolari”. Pure Singer, con cinica freddezza, afferma che «uccidere un bambino significa infliggere una perdita terribile a quelli che lo amano e lo curano», motivo per cui «l’infanticidio può essere posto sullo stesso piano dell’aborto solo quando quelli più vicini al bambino non vogliono che viva». Del resto «uccidere un bambino i cui genitori non vogliono che muoia è, naturalmente, questione totalmente diversa». Qui decide infatti tutto il parere di un giudice, paladino del «migliore interesse».

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