«Terapie riparative», in Francia si va in carcere

Tre anni di carcere e 45mila euro di ammenda per i genitori che mandassero il figlio omosessuale dallo psicologo

Gendarmerie

Tre anni di carcere e 45mila euro di ammenda per i genitori francesi che mandassero il figlio omosessuale dallo psicologo, in più il rischio di perdere la patria potestà o quel suo residuato che ancora è presente nei sistemi giuridici occidentali.

Sono vietate, infatti, le cosiddette «terapie riparative», che mettono in discussione la «transizione di genere».

Il 25 gennaio l’Assemblea nazionale di Parigi ha adottato in via definitiva la legge, promossa dalla deputata della République en marche (il partito del presidente della repubblica, Emmanuel Macron) Laurence Vanceunebrock, che vieta «pratiche, comportamenti o proposte ripetute volte a modificare o reprimere l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona, vera o presunta, e che hanno l’effetto di alterare la salute fisica o mentale».

Gioisce «Rien à guerir», sedicente associazione di «sopravvissuti alle terapie di conversione». Ma il deputato dei Républicains, Xavier Breton, prevede che l’effetto della normativa sarà solo «dividere le famiglie per lasciare il bambino o l’adolescente da solo ad affrontare i propri problemi».

Medici, psicologi e psichiatri infantili dell’Observatoire de la petite sirène temono invece che nel testo venga inserita l’“identità di genere”. «Non potremo più occuparci di minori affetti da disforia di genere», protestano. «C’è il rischio di rinchiudere i giovani in un’identità che forse non era altro che l’espressione delle loro difficoltà, molto comuni anche nell’adolescenza».

Un esempio, oltreoceano, è già sotto gli occhi di tutti: il canadese Robert Hoogland ha scontato 6 mesi di galera e pagato 30mila dollari il rifiuto di accettare che la sua bambina di 12 anni assumesse farmaci per bloccare la pubertà nell’ottica della transizione.

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