Last updated on Novembre 6th, 2021 at 01:55 pm
Il 1° novembre la Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America ha sostenuto ancora una volta la legittimità della legge salvavita entrata in vigore in Texas esattamente due mesi prima e da allora costantemente osteggiata a ogni livello dalla lobby filoabortista.
Allo stesso tempo, il massimo tribunale statunitense appare concedere qualcosa ai fautori dell’aborto: la possibilità di continuare a denunciare la legge nei tribunali minori. La stampa liberal lo descrive come un passo indietro rispetto alle decisioni precedenti, dunque come un passo avanti nella lotta contro la vita. Ma si sbaglia.
Anzitutto per la tempistica. La Corte Suprema ha deciso di esaminare il caso a fronte dei ricorsi presentati dai fornitori di servizi abortivi del Texas e del ministero statunitense della Giustizia il 22 ottobre, fissando l’udienza al 1° novembre. Mai successo. Di solito si viaggia su una media compresa fra 12 mesi e due anni. La Corte Suprema ha cioè voluto agire in fretta, molto in fretta. In fretta per, appunto, sostenere la legge texana. Sì, certo, anche per concedere qualcosa, ma le due cose sono incommensurabili: chi vuole può continuare a sfidarla, ma la legge è costituzionale, dice la Corte Suprema. Ovvero, mentre i suoi nemici impiegano tempo e denaro per aggredirla, la legge texana continua a salvare vite umane innocenti. Ma allora perché concedere anche quel poco? La risposta costituisce il secondo motivo per cui la stampa liberal si sbaglia su quanto è accaduto lunedì.
Il 1° dicembre, cioè ancora molto a breve, la Corte Suprema dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità di un’altra decisiva legge salvavita varata dal Mississippi e bloccata in tribunale che impedisce l’aborto dopo la 15° settimana di vita del bimbo nel ventre della propria mamma.
Cosa sta dunque succedendo? Nessuno di noi è nella testa dei giudici supremi degli Stati Uniti, ma il consiglio di alcuni attenti osservatori può instradare.
La legge del Texas, come osservato con precisione da sostenitori e oppositori, ha potenzialmente la forza di ribaltare la sentenza con cui, nel 1973, la stessa Corte Suprema concluse il caso Roe v. Wade affermando la non-illegalità dell’aborto in tutto il Paese. Una cosa così, dovesse accadere, avrebbe l’effetto di dieci tsunami, multipli giri del mondo compresi. Ma gli è che il mondo non è pronto. Per il mondo l’aborto è un diritto. Va garantito e diffuso. Va insegnato e magari pure imposto. Riusciamo a immaginarci cosa accadrebbe se il Paese più potente del mondo e probabilmente della storia dovesse tornare a vietare l’aborto?
Se la Corte Suprema statunitense vuole cercare questo risultato, deve prepararlo. Deve guidare il processo. Deve concedere qualcosa di non non-negoziabile e assicurare ciò che è non-negoziabile. Deve evitare il massimalismo senza rifugiarsi nel minimalismo. Ovvero deve guidare il processo.
Agire in fretta sottrae terreno all’azione degli avversari. Agire a passo spedito stabilisce l’ordine di marcia. Apparire debole in alcuni frangenti spinge il nemico a commettere passi falsi. Non serve Sun Tzu per intuire la strategia della Corte Suprema.
Non mancherà chi storcerà il naso, ma se il tutto subito paga raramente, a scacchi una gradualità ben temperata porta alla vittoria. Per certo la difesa della vita umana innocente sta per vivere momenti decisivi.