La notizia non è nuova, ma c’è tutta. Il coronavirus è la nuova scusa per normalizzare l’aborto e l’Organizzazione Mondiale della Sanità il triste mietitore. Come quando, nel 1976, si usò l’inquinamento da diossina nell’hinterland milanese per sdoganare culturalmente l’interruzione volontaria della gravidanza nella mentalità del popolo italiano, evocando mostri (letteralmente) senza che vi fosse alcuna giustificazione scientifica e soprattutto senza che i mostri poi venissero davvero alla luce. Eppoi, quand’anche fosse stato? Chi stabilisce il discrimine fra “normale” e “mostro”? Chi decide che alcune vite siano meno meritevoli di vivere di altre? È una domanda antica, a cui però ancora il nostro mondo sfugge, pensando di avere l’autorità per impedire a Elephant Man di venire alla luce. Non ce l’ha, invece. Il geniale matematico John Nash (1928-2015) era fuori di testa e il famoso cosmologo Stephen Hawking (1942-2018) si è ammalato di SLA sui vent’anni: fosse per alcuni, non avrebbe nemmeno dovuto nascere, se solo avessimo saputo in tempo a quale fato era destinato, e invece la sua innamorata (prima) moglie lo ha salvato dall’eutanasia.
Oggi tocca al CoViD-19 oliare l’ingranaggio. Lo abbiamo scritto più volte, ma ancora non ci capacitiamo, perché ancora non riusciamo a renderci conto di come si possa sostenere che due più due non faccia quattro. Una cosa enorme, grave, inconcepibile come l’aborto consumato come un dopopranzo, magari mentre si ascolta un po’ di musica e si pratica la religione dello zapping televisivo.
Ma all’abisso non c’è limite, e quindi ecco che l’aborto arriva anche via Facebook. Certo, non è una novità nemmeno questa. Ce ne sono decine di consigli per gli acquisti abortivi via social media. Ma colpisce questo, e questo in modo particolare. Perché si tratta di un’ostetrica. Dicesi ostetrica colei che, per professione, assiste e aiuta la mamme durante il periodo della gravidanza e in special modo nel parto. È una professione che fa presto a sublimarsi vocazione (anche perché il nostro mondo ateo ha una concezione clericalizzata di “vocazione”, e non sa più che l’elezione di vita è cosa che riguarda tutti). È, l’ostetrica, l’angelo della vita, persino se non crede negli angeli perché né la vita chiede il permesso alla sua credulità né gli angeli alla sua professionalità (vocazione). O se non altro il suo mallevadore, perché il mallevadore è una figura centrale di ogni socialità autentica. In sala parto talvolta, o forse sempre, è più importante l’ostetrica che non il medico. L’ostetrica c’entra cioè tutto con la vita e nulla con la morte. L’ostetrica è l’antitesi dell’aborto. Che quindi un’ostetrica scriva al mondo (dal momento che Facebook è il micro-macrocosmo in cui, se non ci sei, non esisti) offrendo aborto è una cosa che ci lascia (e siamo persone di mondo) ancora a bocca aperta.
Il profilo Facebook dell’ostetrica in questione è un’associazione no profit. Offre servizi professionali, c’è persino il suo numero di cellulare; «[…] per le mamme per le famiglie», dice.
Il 7 aprile alle 18:30, aspettando di scaldare la minestra per cena, l’ostetrica professionista con la vocazione per la vita non sapeva come ingannare il tempo e ha partorito un post. Premesso, l’hashtag di tiro, moda e maniera, #pilloladelgiornodopo, scrive, tutto maiuscolo, che in lingua social, vuole dire “urlato” (come nelle partiture musicali ci sono le indicazioni di tempo e movimento, «andante allegro», «allegro ma non troppo», e così via) che «NON OCCORRE ANDARE IN OSPEDALE!», punto esclamativo dalla forma di manganello, giacché «per ottenere una pillola del giorno [ha dimenticato «dopo», rendendo tutto ancora più grottesco] basta essere maggiorenni e recarsi in farmacia per acquistarla. Ma questo succede da sempre!», altro punto esclamativo che sembra un dardo dritto al bersaglio. E poi il rinforzo, come quello fra la pianta del piede e i tacchi: «A maggior ragione non vi recate in ospedale per farvela prescrivere ora che siamo sotto covid», Già, bisogna essere sani per poter sopprimere una vita. E chiude con un appello, che pare una minaccia: «Se vi fanno storie ditecelo 😉», occhiolino.
Lo so, sono vintage, «[…] bianco per antico pelo» come Caronte. Ma non riesco ancora ad abituarmi: all’abitudinarietà dell’orrore, all’aborto comme d’habitude, alla cultura di morte come abito mentale, culturale, spirituale. Mi chiedo, affranto, quanto più in basso potremo scendere? È Venerdì Santo, e ci sarà pure un motivo che la ragione e la laicità, oltre alla fede, interroga. No?