Sinistre, aragoste e lobotomie

Le aragoste proverebbero dolore pur essendo senza cervello, ma i bimbi no. Scienza?

Last updated on Gennaio 26th, 2022 at 02:34 pm

La settimana scorsa ha fatto notizia un nuovo studio che in Gran Bretagna ha pure comportato significativi cambiamenti normativi. È stato infatti annunciato che «nel Regno Unito aragoste, polpi e granchi verranno riconosciuti come esseri senzienti dal momento che, secondo una nuova ricerca, tali animali presentano sistema nervoso centrale e possono dunque provare dolore».

Domande politiche in ebollizione

L’effetto che la ricerca ha prodotto sulla politica rimane per lo più materia di speculazione, ma secondo alcuni la scoperta potrebbe generare linee guida atte a cucinare quella creature con modalità “umane”, come per esempio l’uccisione rapida prima della cottura al vapore o della bollitura (pratica comunque già osservata in molti ristoranti), o addirittura al divieto assoluto di mettere i crostacei in pentola senza avere prima conferito loro il colpo di grazia.

Molti esponenti della Sinistra sono scesi in campo sui social media magnificando lo studio e la decisione del governo britannico di definire «senzienti» quegli animali: la PETA, per esempio, «Persone per il Trattamento Etico degli Animali», la nota organizzazione per i “diritti” degli animali, definisce la cosa «PROGRESSO» in usando il tutto maiuscolo.

Niente cervello? Nessun problema

Questo mutamento di opinione scientifica è del resto alquanto significativo. Non più tardi del 2018, il periodico Business Insider riferiva dell’inesistente consenso sulla capacità di tali animali di provare dolore. Un fattore molto problematico è che (nel caso di aragoste, granchi e gamberi) quegli animali sono privi sia di cervello sia di tronco cerebrale. Le scoperte più recenti non contestano però questo fatto. Piuttosto, si sostiene, quegli animali, anche in assenza di una corteccia che governi il processo, presentano sistemi nervosi sufficientemente complessi da essere in grado di registrare stimoli quali il dolore o il piacere, reagendo di conseguenza. Alcuni studi presentati nella nuova ricerca citano l’osservazione delle reazioni che quegli animali mostrano ai farmaci che eliminano il dolore o la possibilità di dimostrare l’esistenza di comportamenti di risposta/apprendimento degli stimoli di base. Se cioè quegli animali rifuggano da fenomeni percepiti come associati, per esempio, al calore, presumibilmente vissuti come stimoli dolorosi. Sulla base di questi fattori e comportamenti rudimentali, sembra insomma che la preponderanza delle prove indichi nelle aragoste e nei granchi una qualche «capacità di provare dolore».

Il doppio standard

Nessuno, certo, ha parlato di “capacità di soffrire” in relazione a queste scoperte, ma l’espressione vi si adatta perfettamente. Mai si oserebbe farlo, e questo per una ragione ovvia: perché quell”espressione viene usata nella difesa del diritto alla vita umana. Una delle molte questioni ora all’esame della Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America nel caso Dobbs v Jackson Women’s Health Organization, caso che potrebbe finalmente portare al rovesciamento della sentenza a conclusione del caso Roe v. Wade del 1973, è infatti proprio questa. La restrizione dell’aborto sancita proprio da quella legge che lo Stato del Mississippi ha varato nel 2018 è in parte motivata dalla prova convincente della capacità del feto umano di provare dolore.

Le Sinistre certamente non vogliono che si faccia questo collegamento. Si entusiasmano per la protezione delle aragoste, ma preferirebbero di gran lunga che rimanesse aperta la stagione della caccia agli esseri umani non ancora nati. Ma anche semplicemente considerando le prove citate a favore della sensibilità delle aragoste, il doppio standard risulta piuttosto evidente anche ai profani. Si consideri anche solo un fattore: un’aragosta è considerata capace di provare dolore grazie al sistema nervoso rudimentale di cui dispone, fatto di appena 100mila neuroni e di nessun tronco o corteccia cerebrale che coordini le risposte. Invece, a circa 12 settimane di vita ‒ tre settimane prima del termine limite per l’aborto dalla legge del Mississippi ‒, un feto umano sta sviluppando nuovi neuroni a un tasso di circa 15 milioni di neuroni l’ora. Inoltre i feti umani mostrano, in queste prime fasi, molti tratti comportamentali di stimolo-risposta nonché sofisticate reazioni neurali molto più complesse di quanto le aragoste possano mai fare. Per esempio è stato osservato, mediante tecnologie a ultrasuoni 4D, come i feti umani si girino volgendosi verso suoni per loro familiari, e pure che abbiano espressioni facciali “scioccate” in reazione a stimoli “sorprendenti”.

Negatori della scienza

Questa vicenda ipocrita non può non ricordare, trattando di neurologia e di sensibilità al dolore, un altro passaggio oscuro della storia della psicologia e della medicina, laddove l’ideologia ha trionfato sulla scienza: la mania della lobotomia.

A metà del secolo XX, la tecnica della lobotomia transorbitale divenne una cause célèbre annunciata come una sorta di panacea miracolosa per la cura di svariati disturbi, dall’ansia estrema al dolore cronico fino alla schizofrenia. Oggi ricordata come una moda sociale imbarazzante e vergognosa, molti dimenticano che il suo pioniere ha ricevuto il Premio Nobel nel 1949.

Il trattamento disumanizzante dei pazienti di lobotomia ‒ che dopo l’intervento venivano, dice eloquentemente una descrizione dei fatti, «lasciati con cambiamenti irreversibili nella persona» e ridotti a «zombie bavosi» ‒ serve da ammonimento per tutti su come l’apparente consenso scientifico, quando legato a questioni di convenienza politica, possa a volte risultare molto, molto ingannevole. La società dell’epoca si trovava di fronte a un problema: come trattare gli incapaci mentali, le persone cioè affette da patologie che comportassero l’asocialità o l’invalidità? La cura prescritta ha finito per essere peggiore del problema che si voleva risolvere. Tutto questo ricorda però la retorica che la Sinistra filoabortista riserva ai bambini nati da mamme cui è stato negato l’aborto, dicendo che stanno “peggio”… Peggio che essere morti?

La disumanizzazione insensibile, il rifiuto di prendersi cura degli sfortunati e di chi ha bisongo di assistenza di cui invece semplicisticamente ci si sbarazza, e la mera negazione della buona scienza: questo ha permesso che si arrivasse alla mania della lobotomia, e questo è la benzina che alimenta l’industria dell’aborto.

La speranza è che si possa tornare alla scienza vera. Se un’aragosta merita di non essere uccisa in una pentola, allora sicuramente un bambino merita di non essere ucciso nel grembo della propria mamma.

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