Senza Trump cambierà la storia

Un proclama del presidente diventa bandiera e retaggio

Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:06 pm

Oggi, 3 gennaio, negli Stati Uniti d’America si insedia la Camera federale, eletta il 3 novembre. Per conoscere la composizione del Senato occorre però attendere l’esito del “secondo turno” in Georgia, dove il 3 novembre nessuno dei candidati in lizza ha raggiunto il 50% più 1 dei voti espressi. Solo allora il Congresso federale potrà contare, il 6 gennaio, i voti espressi dal Collegio Elettorale il 14 dicembre e quindi decretare la scelta del nuovo presidente della repubblica, capo dell’esecutivo. Certo, sarà Joe Biden: ma è un cattivo costume, tipico del nostro mondo sciatto, quello di considerare le forme come mere formalità.

Arriverà poi il 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Biden alla Casa Bianca, e quel giorno cambierà la storia. Nientemeno che al vertice del Paese più importante e influente del mondo s’installerà infatti un cattolico che contraddice sistematicamente in pubblico quei princìpi non negoziabili di diritto naturale che per ciò stesso stanno al cuore del cristianesimo, già suscitando i timori dell’episcopato cattolico statunitense, e uscirà di scena Donald J. Trump, il presidente protestante, sbruffone, antipatico, donnaiolo e però difensore come nessun altro del diritto alla vita e capace, dal proprio seggio di rilevanza mondiale, di ricordare nientemeno che l’origine medioevale, persino cattolica degli Stati Uniti. Cambierà appunto la storia.

Perché dal canto proprio Trump la storia l’ha già cambiata quando, il 28 dicembre, a suggello e sigillo di quattro anni di presidenza fuori dal comune, ha firmato il proclama con cui ha decretato che l’indomani, 29 dicembre, l’850° anniversario del martirio di san Tommaso Becket (1118-1170) venisse pubblicamente celebrato con tutti gli onori possibili.

Attraverso quel decreto dai toni letteralmente incredibili, Trump ha fatto la storia in tre movimenti. Ha ricordato che le libertà statunitensi sono tutte articolazioni e fattispecie del diritto dei cittadini alla libertà religiosa. Ha ricordato che la libertà religiosa è il primo dei diritti umani politici garantito dalla Costituzione federale ai cittadini statunitensi. E ha ricordato che quel diritto, dunque l’intero castello delle libertà americane e la Costituzione federale stessa, sono frutto di una tradizione che inizia nel sangue di un martire cattolico nel Medioevo. Insomma, che gli Stati Uniti “nascono” nel Medioevo per resistere al falso dio dello Stato in nome dell’unico vero Dio.

Gerusalemme, Atene, Roma. E Londra

L’importanza di un proclama di questo genere è difficilmente sottostimabile, anche se ho come l’impressione che non verranno profuse pagine di storia e di dottrina costituzionali per riprenderne il significato profondo. Del resto, negli Stati Uniti, l’idea espressa da Trump con il proclama del 28 dicembre è patrimonio del pensiero conservatore più puro: quel pensiero che si definisce appunto «conservatore» perché mira a conservare quello spirito americano che definisce essere per natura conservatore.

Tale concezione è stata magistralmente proposta e interpretata dal “padre” della rinascita conservatrice statunitense nella seconda metà del Novecento, Russell Kirk (1918-1994). Due punti nodali di essa importano qui. Il primo è la natura intrinsecamente conservatrice della Costituzione federale statunitense sui due perni del governo limitato e dei diritti intangibili dei cittadini secondo una logica federalista e sussidiaria. Il secondo è il retaggio storico-culturale che fa sì che quella Costituzione sia appunto ciò che essa è. Kirk spiega questa tradizione evocando le tre città-simbolo: la Gerusalemme del monoteismo, l’Atene della filosofia dell’essere e la Roma del diritto. A esse se ne aggiunge quindi una quarta, Londra, a rappresentare la “via inglese” di quella cultura classica e cristiana che da esse il Medioevo ha forgiato. L’opera in cui Kirk affresca compiutamente questa idea è The Roots of American Order, del 1974.

Nel 1996 il decano dei giornalisti conservatori statunitensi, M. Stanton Evans (1934-2015), pubblicò il proprio contributo a quella stessa idea, The Theme is Freedom: Religion, Politics, and the American Tradition. Quando, nell’estate di quell’anno, mi trovai a discutere con Evans di quel suo libro e di The Roots of American Order (di cui in quello stesso 1996 usciva per Mondadori la mia traduzione italiana, Le radici dell’ordine americano: la tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo), Evans mi disse, fra le altre cose, che, se The Roots of American Order lo avesse scritto lui, avrebbe enfatizzato maggiormente il retaggio del Medioevo cattolico. Evans era episcopaliano, e si convertì al cattolicesimo in punto di morte, battezzato dal suo prima discepolo e poi amico Mario Aquinas Calabrese, padre domenicano.

Il gesto che il 28 dicembre Trump ha compiuto con il proclama su Tommaso Beckett è, in radice, patrimonio comune del conservatorismo statunitense da sempre. Lo esemplifica bene la frase in cui il presidente uscente scrive che il martirio di Becket portò, 45 anni dopo, al cuore di quanto sta scritto nella Magna carta.

Non l’Illuminismo, bensì il cristianesimo

Nel 1960 il padre gesuita John Courtney Murray (1904-1967) pubblicava un testo importantissimo: We Hold These Truths: Catholic Reflections on the American Proposition , il cui perno è l’idea che lo spirito degli Stati Uniti, di cui le sue istituzioni sono un pro memoria, non sia affatto il retaggio illuministico-giacobino (come troppo spesso si dice), bensì la tradizione del diritto naturale di derivazione medioevale. In un passaggio celebre padre Murray lo scrive spiegando la ratio di quei primi Dieci emendamenti alla Costituzione il primo dei quali è il diritto alla libertà religiosa che Trump il 28 dicembre ha ricondotto alla tradizione nata dal martirio di san Becket: «Il Bill of Rights statunitense non è un saggio di dottrina razionalistica settecentesca; è piuttosto un prodotto della storia cristiana. Dietro di esso non si staglia la filosofia dell’Illuminismo, ma quella filosofia più antica che è stata la matrice del Common Law. L’”uomo” di cui si garantiscono i diritti davanti alla legge e al governo è, che egli lo sappia o no, l’uomo cristiano che ha imparato a conoscere la propria dignità alla scuola della fede cristiana».

Quando, in diverse opere, ma ultimamente in The Conservative Constitution, del 1991, poi riedito in versione ampliata nel 1997 come Rights and Duties: Reflections on Our Conservative Constitution, Kirk insegna che non è il liberalismo dell’antimetafisico e illuminista John Locke (1632-1704) il vero padre dello spirito statunitense, bensì il giusnaturalismo classico e cristiano di Edmund Burke (1729-1797), non intendeva dire che questo.

Mi permetto qui una nota a piè di pagina per sottolineare che se la democrazia anglo-americana scaturisce dal martirio di san Tommaso Becket per la libertà religiosa contro la prepotenza dello Stato, il concetto di libertà religiosa che è patrimonio del Concilio Ecumenico Vaticano II scaturisce dal martirio dei cattolici messicani nella Cristiada (1926-1929) contro la prepotenza dello Stato proprio grazie al fatto che fu padre Murray – teologo dall’ecclesiologia problematica, ma nondimeno raffinato pensatore – a svolgere un ruolo fondamentale nella stesura della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae e nella scelta di citarvi, come pezza di appoggio, l’enciclica Firmissimam constantiam (1937), terza e ultima “benedizione” di Papa Pio XI (1857-1939) ai cristeros.

Non è un addio

Due sono le vie politiche dell’Occidente. La prima è quella che, dall’alba della modernità, apre progressivamente al totalitarismo relativista, talora in veste hard, talaltra in veste democraticamente soft; la seconda è quella che procede nel mondo anglo-americano erede, comunque sia, di un’altra concezione. Il politologo tedesco-americano Eric Voegelin (1901-1985) lo ha scritto alla fine de La nuova scienza politica del 1952 con parole che resistono ancora benone alle intemperie, e che anzi il proclama trumpiano del 28 dicembre rende più attuali che mai: «La rivoluzione americana, benché i suoi dibattiti fossero più fortemente influenzati dalla psicologia dell’illuminismo, ebbe tuttavia […] la buona sorte di giungere a conclusione nel clima istituzionale e cristiano dell’ancien régime. Nella rivoluzione francese, invece, la spinta radicale dello gnosticismo fu così forte che spezzò per sempre la nazione in una metà laicista che si richiama alla rivoluzione e in un’altra metà conservatrice che ha tentato, e tenta, di salvare la tradizione cristiana”: “In una situazione di questo genere resta una favilla di speranza, perché le democrazie americana e inglese […] sono anche le potenze più forti sul piano esistenziale».

Davvero più che di una rivoluzione si tratta di contro-rivoluzione, e chiunque capisce che non si tratti di mera “bottega americana”.  L’addio di Trump spiega finalmente con chiarezza la politica per vita, famiglia e libertà autentiche intrapresa dalla sua Amministrazione. Per questo motivo non è davvero un addio.

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