Se Dio si serve della sociologia di Rodney Stark

La sensatezza sociologica della religione e la difesa scientifica della libertà religiosa come fondamento stesso dell’umano

Rodney Stark

Rodney Stark (1934-2022) è uno di quei grandi studiosi che richiamano immediatamente alla mente nomi come quelli di Ferdinand Braudel (1902-1985) o Christopher Dawson (1889-1970), Arnold Toynbee (1889-1975) o Carlo M. Cipolla (1922-2000), François Furet (1927-1997) o Eric Voegelin (1901-1985), o anche Jared Diamond, per non citare che alcuni dei grandi “descrittori del reale”. Fa nulla se Stark è stato meno conosciuto di alcuni dei nomi elencati. E fa nulla se le discipline di cui si sono occupati tutti loro, e altri, sono diverse. Il paragone ardito calza infatti in relazione all’ampiezza di vedute e alla profondità di respiro delle analisi, alla capacità di fare parlare persino i dettagli dentro quadri vasti e addirittura generosi, più la capacità rara di demitizzare alcuni falsi luoghi comuni quasi senza averne l’aria, o l’intenzione, ovvero “semplicemente” stando alle cose: ai fatti, ai dati, persino ai numeri.

Per una teoria della religione

Stark è scomparso il 21 luglio all’età di 88 anni, ma la notizia è stata diffusa solo ora. Figlio del North Dakota, luterano, ma forse non particolarmente ligio al luteranesimo (il che non significa affatto non particolarmente incline alla religiosità e al senso del sacro), maturò, di tutte le possibili, una laurea in Giornalismo nell’Università di Denver nel 1959, lavorò poi come giornalista all’Oakland Tribune da allora fino al 1961, ottenne quindi l’MA in Sociologia nell’Università della California di Berkeley nel 1964 e sempre lì il Ph.D. nel 1971. Poi per 32 anni ha insegnato nell’Università di Washington, e nel 2004 è entrato nel corpo docente della Baylor University (battista) di Waco, in Texas. Qui ha co-diretto l’Institute for Studies of Religion e ha fondato l’Interdisciplinary Journal of Research on Religion.

Molto probabilmente è stato il maggior sociologo delle religioni. Assieme a un altro importante sociologo statunitense, William Sims Bainbridge, ha sviluppato una «teoria della religione» basata sull’idea che il concetto chiave delle fedi, e dei loro seguiti, sia la prospettiva e la promessa, dunque l’attesa da parte dei fedeli, di una compensazione, e di una ricompensa, futura, difficile da verificare per via empirica, ma che prende il posto, e prende piede, quando altre aspettative vengono vanificate o si rivelano inarrivabili. I due studiosi hanno elaborato questo modello in diversi scritti, ma in modo rotondo nel volume del 1987 A Theory of Religion.

Non è, però, l’idea del surrogato. L’idea, cioè, di matrice illuministica e di stoffa positivista, secondo cui le religioni sarebbero semplicemente lo spostamento, inverificabile, ad infinitum di speranze e di auspici, ovvero la maschera di delusioni cocenti trasformate in feticci numinosi. Al contrario. La “teoria Stark-Bainbridge della religione” mostra la cogenza del fatto religioso, che non viene meno per il semplice fatto di non essere quantificabile. Proprio l’idea delle religioni che vi sia un oltre al mondo, che esista altro rispetto alle promesse spesso vane del mondo e che la vita non sia un ridotto materialistico rende ragione, persino razionalmente, non solo del dato religioso in sé, ma pure della sua ampiezza per numeri, coinvolgimento e fervore dei fedeli. Non è la matematizzazione del dato religioso, ma ci si avvicina molto, se con matematizzazione non s’intende solamente la “stechiometria” di matrice cartesiana che pensa di misurare tutto solo mediante il regolo per negare l’esistenza di quel che il regolo non riesce a contare.

La «teoria dell’economia religiosa»

E infatti Stark, cioè gli studi di Stark, sono alla base da un lato della «teoria dell’economia religiosa», sviluppata assieme all’economista statunitense Lawrence R. Iannaccone e al sociologo statunitense Roger Finke. La teoria, detta anche “della rational choice” ‒ sintetizza Massimo Introvigne, che della scuola di Stark, Iannaccone e Finke è uno dei più acuti e importanti interpreti ‒, dice che «alla sociologia delle religioni è possibile applicare con frutto modelli che derivano dagli studi sull’economia, e il campo religioso può essere studiato anche come una forma di “mercato” in cui “ditte” in concorrenza fra loro si contendono la lealtà dei “consumatori”. Gli studi di Stark e Finke sul “mercato” protestante hanno, da questo punto di vista, fatto scuola. Come già altrove ci è capitato di osservare, la teoria della rational choice può sembrare brutale e perfino “scandalosa” in alcune sue formulazioni, e va interpretata con un certo beneficio d’inventario e non senza affiancarle altri strumenti. Si è però rivelata assai utile come strumento sia di interpretazione ex post sia di previsione ex ante, e ha per esempio il merito di avere previsto con anticipo rispetto ad altri modelli il declino della secolarizzazione e l’avvento del “sacro postmoderno”».

Insomma questa teoria dice che la domanda religiosa ‒ cioè il bisogno religioso, il senso religioso dell’uomo, l’esperienza religiosa elementare dell’umano ‒ sposa l’offerta migliore che incontra, da un lato ponendo le fedi in concorrenza fra loro (virtuosa, se sanno cogliere l’opportunità), dall’altro privilegiando le proposte più coinvolgenti e “calde”, non certo i surrogati, le mezze misure e le false promesse.

Il ritorno di Dio

Tutto questo ha portato Stark a esporsi sul piano scientifico fino a dichiarare la morte del secolarismo. Il secolarismo, cioè, si basa su una promessa falsa, sviluppa male quella stessa promessa e giunge a conclusioni ancora più false: l’idea, ovvero, secondo cui la religione è un fenomeno innaturale che va estinguendosi naturalmente (i totalitarismi ci aggiungono una spintina per accelerare il processo di estinzione naturale della religione estinguendo artificialmente i credenti). Ovvero il secolarismo, che è l’offerta religiosa di una religione materialista a una domanda religiosa di tipo spirituale, non soddisfa l’uomo assetato di religione, soccombe alla concorrenza religiosa e fallisce miseramente. Il «ritorno di Dio», tipico della nostra epoca che avrebbe dovuto essere quella della secolarizzazione galoppante, imperiosa e persino furente, lo dimostra. Anzi, lo dimostra il fatto stesso che Dio non se ne sia mai andato. Stark ne ha scritto in un libro importante, redatto a quattro mani con Introvigne: Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente.

La sociologia delle religioni, dunque, grazie a luminari capaci di entrare persino nell’ambito della storia della civiltà, diventa la dimostrazione della falsità del paradigma illuminista e finisce per fare, se i sociologi lo consentono, persino dell’apologetica usando soltanto il metro, il calcolatore e strumenti analoghi al netto però del riduzionismo positivista che di quegli strumenti fa un’arma ideologica contundente. E questo riconduce all’idea che la buona sociologia, dal francese Pierre Guillaume Frédéric Le Play (1806-1882) allo statunitense Robert A. Nisbet (1913-1996), sia essenzialmente una scienza contro-rivoluzionaria.

Libri come praterie sterminate

Il lascito, enorme, di Stark è dunque un campo aperto di cui si potrebbero scandagliare le implicazioni e le vie per decenni, se vi fossero altri spiriti di studioso all’altezza di Stark stesso. O di un Braudel, di un Dawson, di un Toynbee, di un Cipolla, di un Furet e di un Voegelin o anche di un Diamond, per non citare che alcuni dei grandi “descrittori del reale”.

I libri di Stark sono praterie sterminate che parlano con linguaggio sempre nuovo a ogni lettura. Fra questi certamente Ascesa e affermazione del cristianesimo: Come un movimento oscuro e marginale è diventato in pochi secoli la religione dominante dell’Occidente del 1996; Un unico vero Dio: Le conseguenze storiche del monoteismo del 2001; A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù del 2003; La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza del 2005; Le città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’Impero romano del 2006; La scoperta di Dio. L’origine delle grandi religioni e l’evoluzione della fede del 2007; Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate del 2010; Il trionfo del Cristianesimo. Come la religione di Gesù ha cambiato la storia dell’uomo ed è diventata la più diffusa al mondo del 2011; America’s Blessings: How Religion Benefits Everyone, Including Atheists del 2012; La vittoria dell’Occidente. La negletta storia del trionfo della modernità del 2014; False testimonianze. Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica del 2016; Reformation Myths: Five Centuries of Misconceptions and (Some) Misfortunes del 2017; e Why God? Explaining Religious Phenomena del 2018.

Solo sociologia

Se si dovesse indicarne il fulcro comune, certamente questo sarebbe l’idea, giocata del tutto “freddamente”, che la religione sia il fattore essenziale della civiltà e il vero strumento del progresso umano (il che ci riporta davvero a Dawson), quindi che il cristianesimo sia la fede che ha offerto risposta migliore alla domanda religiosa dell’uomo (per tornare alla rational choice), e che per converso esso declini quando smette di essere l’offerta migliore, cioè il sale della Terra. E l’aspetto più curioso è quello sottolineato da Introvigne. «Ho l’impressione», dice il sociologo ad «iFamNews», «che in Italia Stark sia stato scambiato per quello che non è, ovvero una specie di Vittorio Messori con una cattedra. In realtà i libri di difesa del cristianesimo se non erano un hobby sono stati una ciliegina sulla torta e la torta sono lavori di sociologia molto tecnici più un importante manuale per lo studio della sociologia adottato in tantissime università come libro di testo, Sociology, un colosso di 700 pagine uscito nel 1985 e giunto nel 2006 alla decima edizione».

Il «monoteismo primordiale»

Più una perla che, davvero, vale la pena di tornare ancora a scomodare: l’avere ripreso e ridato dignità all’ipotesi del «monoteismo primordiale», elaborata dall’antropologo e folclorista scozzese Andrew Lang (1844-1912) in The Making of Religion del 1898 e dall’antropologo austriaco padre Wilhelm Schmidt SVD (1868-1954) nei 12 volumi del monumentale Der Ursprung der Gottesidee (1912-1954). L’idea, cioè, dell’esistenza di una religione primordiale monoteista di cui le religioni non monoteiste sarebbero la degenerazione per “dimenticanza”. Una visione “platonica” della religione che è il contrario esatto della descrizione positivista, funzionale del resto solo alla demolizione della religione e dell’idea di religione, quella cioè secondo cui la religione si sarebbe evoluta progressivamente e progressisticamente da forme più semplici a forme più complesse, passando attraverso gli stadi del preanimismo, dell’animismo, del totemismo, del politeismo e infine del monoteismo, tutte però semplici maschere, solo sempre più raffinate, della colossale bugia con cui l’uomo avrebbe inventato Dio.

Rodney Stark: un alfiere della sensatezza sociologica della religione, un grande avvocato scientifico della libertà religiosa (in tutta la profondità dell’espressione e con tutte le sue implicazioni incalcolabili) come fondamento stesso dell’umano.

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