Nella mattinata di oggi, nella maggior parte delle Regioni italiane, è suonata la campanella del primo giorno di scuola e studenti e insegnanti sono tornati in classe. Come ogni anno, però, l’organico del corpo docente non è al completo e nonostante le dichiarazioni e i proclami che si sono susseguiti da Ferragosto in poi le lezioni si svolgeranno spesso con orario ridotto. A mancare, sono soprattutto gli insegnanti di sostegno, moltissimi dei quali attendono ancora la nomina. Saranno quindi gli alunni più fragili a farne le spese, e insieme a loro le famiglie.
Una delle situazioni di fragilità più comuni è quella relativa al deficit dell’attenzione-iperattività, in inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD), considerato il disturbo più frequente nell’età dello sviluppo. «Tuttavia, non è semplice stimare la prevalenza reale dei casi», afferma un articolo apparso sul sito web del quotidiano Il Sole 24 Ore, «perché la diagnosi si basa su valutazioni cliniche specifiche e non esiste un database né, come sappiamo, un unico Fascicolo Sanitario Elettronico funzionante a livello nazionale che permetta di raccogliere questo tipo di dato».
«L’ADHD», continua l’articolista del Sole, «è un disturbo neuropsichiatrico con esordio in età evolutiva caratterizzato dalla tre sintomi prevalenti: disattenzione, impulsività e iperattività motoria. La diagnosi di ADHD può richiedere molto tempo ed è necessaria una valutazione multidisciplinare basata sulla presenza di più sintomi». Gli studi pubblicati in Italia negli ultimi anni, confrontati in una revisione che risale al 2018, evidenzia che il 2,9% dei 67.838 bambini e ragazzi di età compresa tra 5 e 17 anni, in rappresentanza di 9 delle 20 Regioni italiane, ha ricevuto la diagnosi di ADHD. Quasi 3 alunni su 100.
La terapia farmacologica prevista per tale disturbo è basata principalmente su due principi attivi: il metilfenidato, appartenente alla classe degli psicoanalettici e psicostimolanti e l’atomoxetina, un inibitore selettivo della noradrenalina. I consumi di farmaci contenenti tali principi attivi risultano più elevati al Nord rispetto al Sud e nei Comuni più benestanti rispetto a quelli dal reddito meno cospicuo. Le motivazioni per la discrepanza di accesso ai farmaci fra Nord e Sud e fra Comuni, però, non sarebbe da imputare all’incidenza effettiva del disturbo, quanto piuttosto all’efficienza sul territorio dei servizi di diagnosi e cura. «A livello nazionale», infatti, «i servizi di neuropsichiatria infantile risultano per numero e dimensioni non omogeneamente distribuiti tra le Regioni, con una situazione al Centro-Nord migliore rispetto al Sud».
Un’analisi effettuata nel 2017 «[…] rilevava una rete insufficiente per rispondere ai bisogni delle famiglie. Solo il 6% della popolazione in età evolutiva poteva ricevere l’assistenza di cui necessitava, a fronte di un fabbisogno stimato fino a un 20% di bambini e adolescenti con qualche disturbo neuropsichico dell’età evolutiva». Sarebbero pochi, cioè, bambini e ragazzi che riescano a ottenere un accesso alle cure di cui hanno bisogno, motivo per cui «molti utenti e famiglie restano in lista d’attesa per mesi o addirittura anni, in particolare per quanto riguarda i percorsi terapeutici e riabilitativi e le famiglie si trovano a ricorrere sempre più al privato, con costi rilevanti che in tempi di crisi economica sono sempre meno in grado di sostenere».
Non mancano all’appello solo gli insegnanti di sostegno, dunque, ma saranno quasi sempre loro, e la scuola nel suo insieme, a farsi carico delle necessità di questi alunni più fragili e delle loro famiglie, che la politica troppo spesso lascia soli.