Sanzioni economiche UE a chi difende i nascituri

Bruxelles decide che l’«aborto costituisce un diritto umano». Chi lo nega è uno sporco “sovranista” e viene punito

Unione Europea

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Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:14 pm

Dopo i cortei e gli assalti alle chiese in Polonia per la “libertà di scelta”, la propaganda a favore dell’omicidio sbarca al Parlamento Europeo. Una risoluzione dell’Assemblea di Bruxelles, la B9-0373/2020/rev del 26 novembre 2020, condanna la sentenza della Corte Costituzionale di Varsavia del precedente 22 ottobre che rende illegale l’aborto nei casi di malformazioni fetali gravi e irreversibili poiché «mette a rischio la salute e la vita delle donne».

Che sopprimere un essere umano nel grembo materno sia un atto criminale la maggioranza dei deputati non vuole nemmeno prenderlo in considerazione. Lo testimonia in modo plastico la votazione, che ha visto 455 favorevoli, 145 contrari e 71 astenuti.

A esprimere il proprio assenso al testo sono, in modo quasi unanime e con eccezioni insignificanti, i membri dei gruppi dei Socialisti e Democratici, dell’estrema sinistra GUE/NGL, dei cosiddetti “liberali” di Renew, ma anche i “non iscritti”, fra i quali si annoverano gli eletti del Movimento 5 Stelle in Italia e l’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont i Casamajó, e pure un consistente drappello del Partito Popolare Europeo guidato dal capogruppo Manfred Weber, ma da cui si distinguono invece i membri di Forza Italia. Il “numero due” del partito Antonio Tajani, quindi Salvatore De Meo, Fulvio Martusciello, Giuseppe Milazzo e Aldo Patriciello hanno infatti scelto di astenersi. Degli “azzurri” italiani soltanto Massimiliano Salini ha osato votare contro, insieme ai deputati della Lega e di Fratelli d’Italia. Se ne prenda nota, non tanto per compilare liste di abortisti e di loro alleati pilateschi, quanto per orientarsi in occasione della prossima tornata elettorale, non solo cioè sulla base di dichiarazioni e presunte vicinanze alle istanze dei movimenti pro life.

Si considerino anzitutto le ragioni fondanti della presa di posizione del Parlamento Europeo, svelate in una premessa e racchiuse in un «considerando», la  formula con la quale si ricorda «che nell’agosto 2018 il Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne e il Comitato sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si sottolinea che l’accesso all’aborto sicuro e legale, come pure ai servizi e alle informazioni ad esso inerenti, sono aspetti essenziali della salute riproduttiva delle donne, esortando nel contempo i paesi a porre fine alle restrizioni sulla salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti delle donne e delle ragazze, in quanto rappresentano una minaccia per la loro salute e le loro stesse vite; che l’accesso all’aborto costituisce un diritto umano, mentre il ritardo e la negazione dello stesso costituiscono forme di violenza di genere e possono equivalere a tortura e/o a trattamenti crudeli, disumani e degradanti; che la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti rientrano nei traguardi per l’OSS 3, mentre la violenza di genere e le pratiche lesive nei traguardi dell’OSS 5».

Ebbene, tanto per chiarire qual è tale presunta fonte del diritto, ritenuta superiore alla Corte costituzionale di Varsavia, il Committee on the Elimination of Discrimination against Women (CEDAW) è un organismo composto da 23 esperti indipendenti, mentre il Committee on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD) è un organismo composto da 18 esperti indipendenti. In pratica una specie di potere superiore e sovranazionale, al quale si dovrebbero piegare il diritto di nascere e di vivere.

Hanno stabilito loro che l’«aborto costituisce un diritto umano» e che negarlo è una tortura. Ma o gli Stati vi si adeguano o vengono inseriti nella categoria ad alto rischio dei “sovranisti”. Lo si è già visto con lo stallo sull’approvazione dei Recovery Fund in sede di Consiglio dei ministri UE.

La minaccia ideologica è divenuta poi una dichiarazione di guerra sempre il 26 novembre, quando il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sulla Situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea – Relazione annuale 2018-2019 nella quale non solo si condanna il «regresso organizzato» nei confronti dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne, compresi la salute sessuale e riproduttiva, e i relativi diritti, ribadendo il diritto a metodi contraccettivi moderni e all’aborto sicuro e legale, ma si ripete anche la necessità di un meccanismo dell’UE su democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali, proponendo raccomandazioni annuali specifiche per Paese che potrebbero far scattare il meccanismo di protezione dei valori UE, procedure d’infrazione e la condizionalità di bilancio. In Europa, insomma, essere inseriti, attraverso il «ciclo di monitoraggio annuale dei valori dell’Unione», nella lista nera degli Stati in cui si verificano «l’ascesa e il radicamento di tendenze autocratiche e illiberali» potrebbe significare non poter accedere ai fondi comunitari per lo sviluppo. In pratica si applicano le sanzioni economiche a chi difende i nascituri. Ma è l’Europa che sta commettendo suicidio.

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